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DUPLICITY, di Tony Gilroy, con Julia Roberts, Clive Owen, Paul Giamatti, Tom Wilkinson, Stati Uniti, 2008. La Guerra Fredda è finita, ma le spie restano.

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Eccocosì Claire, che prima lavorava per la CIA, ed ecco, di fronte a lei e contro di lei, Ray, prima al servizio di Sua Maestà Britannica. L'oggetto del contendere è una formula quasi magica per vincere la calvizie di cui due grandissime industrie di cosmetici vogliono impadronirsi a tutti i costi. Mettendo in campo ogni sorta di sotterfugi, con imprese spericolatissime di contorno che ci porteranno un po' dappertutto nel mondo, da Dubai a New York, passando per Londra, Roma, Parigi, Zurigo, avendo sempre come cornici alberghi di lusso e uffici anche più di lusso in grattacieli spettacolari. In mezzo l'intrigo, che si è scritto e poi rappresentato Tony Gilroy, dopo il successo di «Michael Clayton». C'è di tutto: avventure, amori, sesso, doppi e tripli giochi spinti a tal segno che quasi nessuno è mai quello che sembra o dice di essere, mentre i tempi, i colpi di scena, le sorprese si accavallano di continuo, così complicati e ritorti, in certi momenti, che si stenta un po' a ritrovarvi tra le pieghe il bandolo della matassa. Ed è un peccato, perché l'azione è tesa e nervosa, certe pagine son costruite furbescamente in modo da provocare il massimo di tensione possibile e i caratteri dei due protagonisti, sia quando si amano sia quando si ingannano, sono affidati spesso a psicologie molto elaborate, sostenute, nel corso dell'intera vicenda, da dialoghi scoppiettanti e vivaci derivati molto più dalle commedie sofisticate che non dai drammi di spionaggio. Comunque gli interpreti si impegnano al massimo per esorcizzare nei limiti del possibile le lacune e, per un altro verso, le complicazioni tortuose del testo. Nelle vesti di Claire c'è Julia Roberts, smagrita, con un fascino qua e là attenuato ma con una mimica capace, ad ogni svolta, di esprimere le sfumature più sottili, anche senza ricorrere alla parola. Di fronte ha Clive Owen che, con ogni evidenza, recita e gestisce pensando a Cary Grant. Senza tradirlo troppo.

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