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Quel lavoro in miniera che rendeva tutti fratelli

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Il tema del lavoro è centrale nella nostra società, ma nel dibattito mediatico la retorica raggiunge spesso astrazioni totalmente scollate dalla realtà materiale, che invece i lavoratori ben conoscono e per la quale si sentono tanto incompresi. Eppure c'è stato un tempo (neppure troppo lontano) in cui si parlava di lavoro, di sicurezza, riferendosi e condividendo verità naturali irrinunciabili, per le quali, per sopravvivere dunque, quotidianamente si lottava. Allora si nutrivano sentimenti onesti di passione per il fare e nel lavoro si realizzava una comunità di valori profondi e sinceri, di solidarietà e impegno, che non avevano bisogno né di bandiere né di tribuni occasionali.  Così lavorava in miniera in Valtrompia (a nord di Brescia), nel ventre della sua terra, Erminio Bregoli (73 anni), nella miniera Marzoli, a Pezzaze. Per me la miniera è tutto. Mio padre minatore è morto di silicosi a 44 anni e le ultime parole che mi ha detto sono state: "non andare in miniera". Dovrei dunque odiarla, e invece no, perché è stata la mia vita. A quindici anni sono entrato in miniera e dopo venti anni, anche a me hanno diagnosticato la silicosi. Lavorare in miniera vuol dire entrare e non essere mai sicuri di uscire. Quello è il primo pensiero che ho avuto anche il primo giorno da minatore, me lo ricordo bene. Ero un ragazzino e la prima sensazione non era certo piacevole, perché all'inizio è facile perdere l'orientamento. Allora la prima cosa che ho pensato è stata come fare ad uscire se fossi rimasto solo. Ho guardato l'acqua per terra e ho capito che per uscire avrei dovuto seguire l'acqua. Una volta entrati si era sparsi nel labirinto delle varie gallerie, dove si lavorava per turni di otto ore, sempre dentro. All'inizio non avevamo la pausa pranzo. Poi a forza di scioperi abbiamo ottenuto una sosta di 20 minuti per mangiare. Ma senza uscire, sempre lì sul posto. I rapporti umani sono stati sempre straordinari, se vuoi capire cos'è la fratellanza devi lavorare in miniera. Il menefreghismo lì non esiste più, una mano aiuta sempre l'altra. In miniera non ti senti mai solo. Io mi ritengo fortunato, ho avuto qualche infortunio ma sono sopravvissuto. Le disgrazie che oggi accadono nel mondo del lavoro dipendono dal fatto che la sicurezza in verità non c'è. La sicurezza, prima dei soldi, è sempre stata la mia idea fissa. Basti pensare che per avere il caschetto abbiamo dovuto scioperare. E non si dimentichi che i primi scioperi nelle miniere in Italia sono iniziati alla Marzoli e proprio per le questioni sulla sicurezza. Però è anche saggio ricordare che non si deve mai dare troppa confidenza al lavoro, soprattutto quando ci si sente esperti e sicuri. Ma per essere un bravo minatore bisogna avere prima di tutto passione. In realtà in qualsiasi mestiere bisogna avere innanzitutto passione. Io l'ho sempre detto ai miei compagni "dobbiamo avere i nostri diritti, ma dobbiamo anche fare il nostro dovere. Se lavoriamo male non ci rimette mica il padrone, ma la gente che alla fine deve usare il frutto del nostro lavoro". Io alla miniera ho sempre voluto molto bene e sono orgoglioso d'averci lavorato. Anche per questo da dieci anni vado dentro a far la guida alle scolaresche. I giovani oggi non ricordano mai i sacrifici dei nostri padri. Io cerco di conservare per loro questa memoria, e fargli capire che quello che hanno è il frutto dell'impegno e del lavoro dell'uomo, prima di loro.

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