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Stregato da Beatrice

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Così lo descrisse, così lo visse, con tutti i travagli fisici e le intime sofferenze da elaborare e da superare, lungo stazioni penitenziali che aprono alla consapevolezza. Affinché, sciolti tutti i nodi e liberato da ogni gravame, il poeta, con gli occhi non più offuscati, potesse contemplare le immagini celesti. Di queste già il Purgatorio dà saggio ed assaggio, in un crescendo di ebbrezza spirituale che ha al suo centro Beatrice, la donna del "saluto" e della "salute", ovvero la mediatrice di salvezza nello splendore dello sguardo e nell'irradiarsi luminoso del sorriso. Da sempre e per sempre, Beatrice è "luce". Lo è quando, piena di pietà per Dante smarrito nella selva e minacciato dalle tre fiere, scende dal suo trono celeste fino al Limbo, per chiedere a Virgilio di andare in soccorso dell'uomo che "l'amò tanto" e che, per amor suo, abbandonò "la volgare schiera". E lo è quando, d'improvviso, appare dinnanzi agli occhi del suo eterno innamorato in un "paesaggio" che fu "nostro": il Paradiso terrestre, posto sulla vetta del Purgatorio. Qui, nello splendore dell'Eden "ritrovato",in un tripudio di processioni, preghiere e canti, Dante vede cento angeli gettar fiori su un carro che incede trionfale. Ebbene, in quella nuvola colorata c'è una donna, che indossa un candido velo fermato da un ramo d'olivo, una veste rossa e un mantello verde. Di fronte all'apparizione miracolosa, Dante è profondamente turbato. Ancora non ha riconosciuto in Beatrice la donna velata, ma è come se già ne cogliesse la "presenza" . Tanto è vero che il suo animo: " per occulta virtù che da lei mosse/ d'antico amor sentì la gran potenza" ( Purgatorio, XXX, vv. 38-39). E' un momento di grande tensione: il poeta vorrebbe confidarsi con Virgilio ("conosco i segni dell'antica fiamma", v.48), ma il "dolcissimo padre", colui che in tante occasioni lo ha tratto in salvo, non c'è più, è scomparso, e lui scoppia in lacrime. Gliele asciugherà Beatrice, luce di amorosa sapienza,non prima, però, che Dante ( si veda il Canto XXXI) ne abbia versate altre e cioè quelle che faranno seguito alla piena confessione dei propri peccati. Che sono, poi, ammonisce la "gentilissima", peccati d'amore, o meglio di un amore troppo fragile e caduco: se,infatti, il poeta aveva contemplato, riconosciuto e celebrato in lei la manifestazione più alta della Bellezza, come aveva potuto, dopo la sua morte, desiderare altre donne, anziché interamente consacrarsi a lei? Ora, è giusto ricordare che Beatrice è manifestazione divina, Donna-Angelo e Donna-Madonna, simbolo della Grazia santificante e della Beatitudine celeste, e che, a partire dalla "Vita Nova" e dai due incontri cruciali ( il primo a nove anni, il secondo nove anni dopo) che Dante ha con l'"angiola giovanissima", la sua vita interiore è un dispiegarsi di segni ultraterreni, di sogni e apparizioni che svelano sacri misteri, di suggestioni ineffabili che in Dio hanno origine e in Dio fine. E non va dimenticata l'insistenza di Dante su questo punto. Ad esempio, nel capitolo XIX della "Vita Nova", il poeta, per parlare dell'amata, per spiegare "chi" e "come" è, dunque per celebrarla degnamente, si rivolge a donne che hanno "Intelletto d'amore" . Quelle che, non essendo "pure femmine", sono in grado di comprendere quali "virtù" facciano d'ornamento all'amata. Beatrice "celeste" e "celestiale"? Certo. Ma noi la "vediamo" anche nella sua "concretezza", e proprio attraverso gli occhi di Dante. E dell'Amore. La vediamo: ha un volto, ha un corpo. Lo dicono il candore della carnagione, il portamento, lo sguardo da cui "escono spiriti d'amore infiammati", il sorriso, il saluto. Beatrice è anche un'emozione, "ci" emoziona, lei stessa è "emozionata" quando, l'abbiamo ricordato, si reca da Virgilio, per chiedergli di soccorrere Dante, e "gli occhi lucenti lacrimando volge", tanto che il generoso poeta mantovano,anch'egli commosso, si rende più sollecito nell'aiutarla. La "vediamo", Beatrice: non è disincarnata, fa battere il cuore, suscita ammirazione, fa il suo ingresso dentro sogni che fanno gemere e tremare. Suscita- nota De Sanctis- se non la passione dell'amante, l'ispirazione del poeta, che, nelle più varie circostanze, si sente spinto, "da lei", a scrivere un sonetto o una canzone: "quando il suo animo è veracemente commosso, Dante getta via il suo berretto di dottore, e le sue regole retoriche e le sue reminiscenze poetiche, e ubbidisce all'ispirazione. Allora è Beatrice, solo Beatrice, che occupa la sua mente".

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