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La recensione

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Iltango è tornato a Roma con i suoi profumi, le sue atmosfere «maledette», la sua seduzione, il suo carisma, la sua storia ormai secolare. Al Teatro Olimpico cinque coppie di ballerini della compagnia Tango Metropolis sino al 5 aprile con le coreografie sguscianti disegnate da Pilar Alvarez e Claudio Hoffmann, ma soprattutto con il quintetto capitanato dal grande Daniel Binelli, compagno d'arte ed erede di Piazzolla, tornano a diffondere profumi di tango. Il variegato tappeto musicale consente di scorrere alcuni classici del genere sino alle composizioni espressamente scritte da Binelli per la performance (alquanto avanzate, di taglio contemporaneo o a tratti jazzistico). Senza dimenticare, s'intende, il classico ed evergreening Piazzolla di «Oblivion», «Adios Nonino» o «Libertango». I quadri coreografici alludono alla storia del tango dai bassifondi della Boca di Buenos Aires con le risse da strada al musical d'autore, dai bassifondi alla elitaria Parigi. Ma la cosa più straordinaria, oltre alla bravura dei musicisti e dei danzatori, è che per la prima volta il tango, danza mitica per gli argentini e non solo, diventa anche ritratto ironico, gag, ironico quadretto come per le scope che ballano nelle mani del cameriere. Senza pretese narrative, insomma, lo spettacolo restituisce però integra la quintessenza del tango, quel quid straordinario che lo ha reso irresistibile dalla Siberia al Sudafrica. Ed il messaggio è chiaro e diretto, almeno per quella coppia che scoppia nelle moderne civiltà post-industriali. Come dire che finchè c'è tango c'è speranza.

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