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Tra Ariosto e Sherazade il Sud miracoloso di Nigro

Un paese del Cilento e un bambino che fa le prove della processione

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Il nuovo romanzo di Raffaele Nigro, «Santa Maria delle Battaglie» (Rizzoli, 299 pagine, 21 euro, in uscita il 1 aprile) è un romanzo a doppia meccanica - diastole e sistole - in cui una parte è ambientata nel nostro presente (vi si racconta un dramma familiare: il dramma di Federica Cacciante, ridotta a «stato vegetativo»), mentre un'altra si snoda in un arco temporale più ampio, grosso modo intorno al primo trentennio del XVI secolo (vi si racconta la storia di Maria Trafitta, di suo figlio Braccio Cacciante, e di suo nipote Belisario Cacciante).  La voce narrante del romanzo - l'occhio narrativo - è una scultura lignea raffigurante la Madonna («delle Battaglie», appunto), che tutto vede e tutto custodisce (la memoria, le parole). Raffaele Nigro scrive un romanzo indimenticabile, perché in questo, più ancora che dall'ombra (o dal fantasma) di Ariosto, la sua scorribanda nelle pieghe della storia meridionale sembra «benedetta» dall'ombra (o dal fantasma) di Sherazade, il mito della parola che salva. Romanzo disperatamente morale, quindi, nella misura in cui, attraverso il moltiplicarsi delle storie e dei destini riemersi dalle polveri del passato, Nigro tenta di «risvegliare», con le «parole perdute», l'eterno presente di oggi, incarnato dal sonno catatonico di Federica Cacciante (che la statua lignea della Madonna tenterà, attraverso il racconto, di spezzare). Tutto sembra segnato dalla «discesa» in Puglia di Pietro Pomponazzi (Maria Trafitta, la ribelle «medichessa», ne rimarrà segnata per sempre), probabilmente portatore del morbo della ragione e della critica, iniziatore - in questa prospettiva romanzesca - di un'accoppiata infelice: ragione e oblio, mettiamola così. Lo stesso Bruno Cacciante (filosofo altero, padre della povera Federica), sembra l'estremizzazione razionalista di un processo iniziato - in Santa Maria della Battaglie - proprio dalla «discesa» in Puglia di Pietro Pomponazzi. Storia di amore incestuoso (tra zio Laviero e Maria Trafitta), di battaglie mozzafiato tra campi e paesi della dorsale adriatica (Braccio Cacciante in lotta contro turchi e francesi), di amori infelici e aspri, di collisioni religiose e culturali (tra l'Islam e il Cristianesimo, nella parte finale), «Santa Maria delle Battaglie» è un romanzo a doppio strato: c'è il presente opulento e stanco, e un passato dilaniato da impeti razionalisti da «anatomopatologi», e da cieche devozioni religiose. Un romanzo in cui si compie, infine, il miracolo - certo, si lotta, si ama e si muore, come in tutti i romanzi di amori e di battaglie; e, infine, la statua della Madonna (la memoria) sarà salva per sempre - e questo miracolo è la felicità di creare, dietro a ogni corpo vivo, un corpo morto nel passato, che però fu ben vivo e caldo (come una eco, un controcanto). Mai prima si era sentita così estrema la necessità - in Nigro, principale scrittore meridionale - di salvare il suo mondo, da sicura condanna, con il dono della fantasia, della conoscenza e del miracolo. Che poi il miracolo sia la parola (la logorrea di Maria Trafitta, la narrazione della statua viva) non riduce la portata del sacro, semmai accresce la natura sacra della memoria e della fantasia che si fa parola, avventurosa (Ariosto) e disperatamente sensuale (Sherazade).

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