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Bevilacqua poeta, la virtù di riconoscere l'altro

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Un autore lirico, arioso, cosmico. Sono molti i caratteri fondanti dei versi dello scrittore parmense, che con l'ultima opera proietta il suo vissuto in una dimensione epica da terzo millennio. Bevilacqua sa immedesimarsi nei personaggi che «mette in scena» tra grazia e crudeltà: il tempo è sospeso in una campitura shelleyana per tutto ciò che l'uomo può essere ed è stato. C'è una volontà metamorfica: dell'immedesimazione nel ritmo del quotidiano, nell'infinito di cose minime («Io sono le tracce di qualcuno che mi cerca / che di me non gli importa di sapere: / io esisto, lui mi vuole possibile, un'ipotesi // mi cerchi pure, mi cerchi se vuole / non sapere di me, quel tale, / chiunque io non sia»). «Idee madri» e «dialoghi stellari» si fanno strada per conquistare spazi illimitati, così che un ambiente locale si fa macrocosmo. Bevilacqua attraversa idiomi e immagini con dimestichezza, capace di comunicare anche con chi non è più nel suo orizzonte. E fa capire di sapersi riconoscere nell'altro.

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