Evviva l'arte perché la bellezza è anche una molla che crea lavoro
«La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere». Sono parole del poeta C.K. Norwid. Le cita il suo connazionale, papa e poeta Karol Wojtyla, nella Lettera agli artisti che scrisse giusto dieci anni fa. Le dedichiamo a Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, i due curatori del Padiglione Italia della prossima Biennale di Venezia che domani presentano ufficialmente il loro progetto e i "loro" artisti in una conferenza al Ministero dei Beni Culturali. Mentre tutti parlano di crisi, fa effetto notare come il poeta - e il papa con lui - confidasse che la "bellezza è per entusiasmare al lavoro". La crisi del lavoro, che è origine ed effetto gravissimo di questa crisi planetaria, è forse collegata a una "crisi della bellezza"? La parola è stata a lungo bandita da molta parte del pensiero intorno all'arte, e dalla educazione alle arti, ma anche quando se ne parla, pare che le esperienze della bellezza e del lavoro (e del risorgere) siano incomunicanti. Così la bellezza è diventata tristemente, cupamente, sinonimo di "svago" del pensiero o del corpo. E l'arte è in molti casi una sorta di "alto intrattenimento". Diversa è l'esperienza di quanti, immersi in epoche o in zone di crisi in cui le arti sono pur fiorite, vedendo sorgere le cattedrali romaniche o le opere di artisti minori o senza nome, ritrovano una energia per rimettersi a una dura opera. Troppe volte un'arte svogliata rispetto alla ricerca di senso e di profondità ingenera solo fugace brivido, appagamento d'apparenze, noia sfaticata.