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La bella letteratura italiana passa attraverso Gadda & c.

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Carlo Emilio Gadda, negli anni romani, lavorava in Rai e abitava in via Blumensthil, stradetta tranquillissima - tutti condomini signorili - a due passi dal luogo dell'agguato Br ad Aldo Moro. Era la Roma sorniona e benestante del 1953, il milanese era pressato da Vallecchi, l'editore voleva entro l'anno un suo libro. Oltretutto gli aveva pagato l'anticipo. L'autore del "Pasticciaccio" rimandava - ricorda il suo compagno di stanza in Rai, Giulio Cattaneo - poi, stringendo i tempi, fu preso dalla frenesia. Cominciò a spulciare nei cassetti, racimolò capitoli di romanzi, racconti...Insomma, tanto da raggranellare quattordici racconti. Che uscirono sotto il titolo di «Novelle dal Ducato in fiamme». «Un caso fortunato perché riunisce tra le più belle pagine di Gadda». Il giudizio è del decano degli storici della Letteratura, Walter Pedullà. Che racconta questo Gadda meno letto in uno dei capitoli di «Per esempio il Novecento» (Rizzoli, 563 pagine, 21,50 euro), una cavalcata con una dozzina di esemplari tappe tra i nostri autori che più hanno innovato, con la penna, il Secolo Breve. Dunque, Gadda, che Pedullà definisce con studiata ambiguità (un gioco di parole saggio e serio) «il più grande romanziere italiano del Novecento, dopo, insieme o prima di Svevo e Pirandello». L'indagine dentro lo scrittore - meglio, questo versante dello scrittore - prende il via col tono spigliato dall'aneddoto sopra ricordato. Che fornisce la chiave per la lettura che Pedullà sviluppa qui. Quel rabberciare un libro di racconti all'ultimo minuto, così ben riuscito, in fondo fortuna non è: è piuttosto il corollario del modo di fare letteratura dello scrittore-ingegnere: che scrive per frammenti, per aggiunte, spostamenti, addizioni e sottrazioni di capitoli intercambiabili tra scritto e scritto. Un gioco combinatorio grazie al per il quale dallo spezzone «approda - scrive Pedullà - al racconto, al racconto tratto dal romanzo, e al romanzo vero e proprio, peraltro sempre incompiuto...Un prosatore che, dopo aver fatto meraviglie sulla singola pagina, passa a collegare per contiguità, continuità o montaggio un episodio con tutti i suoi "simili" o anche dissimili (un frammento gaddiano può servire più padroni, e funziona diversamente in libri diversi) all'interno dello stesso romanzo». Insomma, un inestausto, stressante puzzle che replica nella forma, nel procedere della scrittura, il contenuto delle storie gaddiane, specchio di un mondo desolatemente incomprensibile, invischiato com'è nel groviglio delle cause e delle concause di ingravalliana memoria. Gli «scandalosi» pensieri di Tommaso Landolfi, Stefano D'Arrigo e la nascina di una lingua, la scrittura magra di Domenico Rea, l'inevitabile sosta nel Futurismo (ma la lunga gestazione di questo libro libera Pedullà dal conformismo delle celebrazioni del Centenario) sono alcuni degli altri nuclei di indagine del professore. Che, forse grazie ai cinquant'anni passati nelle aule universitarie della Sapienza di Roma, a formare generazioni di studenti, racconta la letteratura con prosa divertita e scintillante. E che nel capitolo iniziale azzarda e articola una provocazione: torniamo a chiamare la letteratura non solo importante, significativa, acuta, intelligente. Chiamamola bella. Evviva.

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