Come per risarcirsi dalla lontananza? Non ha più senso questa geo-letteratura di sapore etnico, dicono, il sud è un'astrazione.
C'èuna forza di gravità o di attrazione che spinge verso sud anche chi non è nato a sud; c'è sempre un famigliare, un'origine, un ricordo, un richiamo che ti porta a scendere. Anzi più il pianeta si ritira nei piani alti, più la globalizzazione coincide con la settentrionalizzazione del mondo, più il sud diventa il luogo della vita autentica, il vivaio dell'umanità, il pozzo profondo che disseta le nostre radici. Il movimento è verso il nord; al sud riposa l'essere. Percorro la via del sud, partendo dal suo punto più estremo, Capo Leuca. È un pomeriggio estivo della mitica controra; un solleone maestoso, noetico, avvolge tutto il paesaggio e non concede riparo neanche dietro le lenti scure. Al sud d'estate il mondo è sfacciato, pubblico, vistoso e non c'è ombra che possa cancellarlo. Inoltrandosi poi nel Tavoliere non ci sono nemmeno alibi montani, il sole comanda nel paesaggio come un sovrano assoluto e non c'è scampo. C'è una luce bianca, abbagliante, ma in autostrada la legge obbliga le auto a viaggiare con i fari accesi, sempre. Notte e giorno, estate e inverno. E' una regola di Bruxelles, piovosa e grigia, una legge imposta dall'Europa buia anche di giorno all'Europa mediterranea, luminosa e bianca anche di notte. Quell'obbligo di fari in pieno giorno è una forma ridicola di prevaricazione, illuminista ma oscurantista; è l'espressione di una colonizzazione nordica e di una fotofobia, il grottesco rigore e grigiore di una norma calvinista sulla forza solare del sud e della realtà. La norma contro la vita, la legge contro la realtà. Ecco, mi dico, una protesta simbolica ma necessaria: spengo i fari, a dispetto della legge e del codice della strada, per non deturpare il paesaggio di luce naturale e forse soprannaturale, per non inquinarlo visivamente e non interferire con gli occhi luminosi degli dei; e vorrei che tutti facessero altrettanto, fino a vanificare quella norma eliofobica, sposando la realtà del luogo. In nome del cielo spegnete i fari. Più dei limiti grotteschi di velocità, più delle cinture di sicurezza, è quella norma che considera il sud un incidente nella modernità, quasi un'insolazione...Cos'è questa accettazione passiva di una Legge contronatura, questo antico fatalismo asservito alla Modernità assurda e astratta della Norma Europea? Abbiamo o no coscienza della terra in cui viviamo? Il discorso vale per ogni sud, non solo in Italia; vale per la Grecia e la Provenza, per la Costa do Sol e l'Andalusia...Capisco il rimprovero ai meridionali di non usare le cinture di sicurezza con la scusa del caldo e magari il complesso del cafone emancipato, che non sopporta di farsi legare perché gli ricorda la sua servitù passata (i ca' fune, erano appunto legati ad una fune). Ma l'obbligo della luce è cecità ideologica. Non è una protesta per comodità e vantaggio personale, non si risparmia nulla a spegnere i fari, non si evade il fisco; è una protesta territoriale, forse terronale, un'infrazione simbolica alla luce del sole.