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Con l'«Iphigénie en Aulide» Muti appassiona e stupisce

Il maestro Muti

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Lorenzo Tozzi Il cavalier Christoph Willibald Gluck è autore non troppo frequentato sulle tavole dei palcoscenici degli Enti Lirici nostrani. Non è insomma un autore popolare, tale da fare facilmente breccia tra il pubblico comune, ma piuttosto gradito a spettatori di palato pregiato che conservano una idea più colta della musica e vedono in lui, figlio illustre del razionalismo illuministico, l'anello mancante nella strada della drammatizzazione musicale che porta da una parte a Wagner e dall'altra al teatro musicale romantico in genere. Ma innanzitutto ai francesizzati Piccinni, Sacchini (Edipo a Colono), Salieri (Le Danaidi) sino a Cherubini, altro grande maestro caro a Muti.  Il coraggio non poteva dunque mancare a Riccardo Muti nel riportarlo sulle scene odierne nelle fattezze della rara Iphigénie en Aulide (Parigi, Académie Royale de musique, 1774) su un arcigno libretto ispirato all'immortale Jean Racine ed imperniato sulla lotta tra potere religioso (i divieti della Dea Diana rappresentati sulla terra dal sacerdote Calcante) e quello politico (il Re acheo Agamennone) che travolge l'esistenza della giovane Ifigenia, figlia dell'Atride e destinata all'estremo sacrifizio invece che alle più rassicuranti nozze con Achille. L'opera è un magma dalle tinte brunite, eroiche, cupe, quasi più dramma che musica (vi si avverte una certa uniformità di tinte tra i sostanziosi recitativi sempre accompagnati e le corpose arie, quasi vere e proprie tirate da attore drammatico alla David Garrick). Tutto accade sotto una cappa di ineffabile fatalismo, esemplificata non nel campo militare greco ma in una scena praticamente fissa da alcune legnose polene (sulla prua delle navi costrette al porto dalla mancanza dei venti) raffiguranti l'ostinata Dea della caccia. A risaltare sono le remore del torturato cuore paterno di Agamennone, che grandeggia visionariamente come un Boris Godunov settecentesco nella sua prosternazione dinanzi ad un destino più grande di lui. Ma ad ogni personaggio è saggiamente lasciato il dovuto spazio psicologico, nella individuale talora scomposta reazione allo scorrere dei drammatici avvenimenti. Sicchè tutti, e non solo Agamnennone, acquisiscono spessore statuario, evidenza archetipica, proprio come per i personaggi della tragedia attica antica. Il cast vocale ben selezionato offre del dramma una lettura di grande intensità, culminante a sorpresa nella discesa ex machina di Diana e nell' altrettanto sorprendente ingresso della riorchestrazione di Wagner (gli ultimi cinque minuti) che entra come un effetto speciale nel finale grandioso che salva la vita a Ifigenia ma senza destinarla agli sponsali. Fortemente scolpita la cangiante Ifigenia in progress della bulgara Krassimira Styanova stoica nell'accettazione del sacrificio, più sfaccettato tra dolore e obbedienza l'Agamennone del corpulento Alexey Tikhomirov, scultorea e tragica la Clitennestra di Ekaterina Gubanova, impetuoso talora oltre le righe l'Achille di Avi Klemberg in un ruolo originalmente concepito per controtenore. Apprezzabile la regia del greco Yannis Kokkos, statica secondo le necessità di un dramma compatto e pietrificato. Il modello è quello di una moderna tragedia, che guarda all'antica, oltre che nei ritratti individuali, anche nella densa e motivata partecipazione corale e nelle musicalmente robuste scene di danza (all'epoca forse ispirate all'innovativo stile pantomimico del ballet d'action o pantomimodramma di Noverre). Poco incisiva appare invece forse la coreografia di Marco Berriel che riduce le danze dell'opera ad una semplicistica pantomima narrativa un po' fredda e non sempre comprensibile nelle sue simbologie (il giudizio di Paride e la conseguente guerra tra Achei e Troiani). Ben addestrato il coro, sfaccettato e diviso in opposti partiti, spesso presente e sempre partecipe secondo il modello greco negli snodi più significativi dell'azione. Alla fine grandi salve di applausi a tutti gli interpreti, ma soprattutto al demiurgo Muti che ha voluto regalare a Roma la riscoperta di un'opera dimenticata da più di mezzo secolo. Evento degno di una grande bacchetta e di un grande Teatro, che acquista un sapore ancor più significativo negli attuali tempi di crisi. Tra gli illustri presenti all'evento il presidente Giorgio Napolitano, il sindaco Alemanno e Gianni Letta.

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