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Le verità di Muti

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Le sue orchestre predilette sono quelle di Chicago e la Cherubini, da lui creata, ma non c'è dubbio che Riccardo Muti abbia incominciato ad instaurare un rapporto privilegiato anche con l'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma. Dopo l'applaudito Otello di dicembre da domani Muti sarà di nuovo sul podio del Costanzi per la "scommessa" Gluck, autore meno popolare di Verdi, ma non meno focale negli sviluppi del melodramma. Dopo Iphigénie en Aulide, seconda proposta per Roma di Muti, le sue presenze proseguiranno con l'Idomeneo di Mozart (2010, regia di Flimm) e a sorpresa con il Nabucco (2011, centocinquantenario dell'Unità d'Italia). Ma l'anno prossimo debutterà anche al Metropolitan con l'Attila. Incontriamo il maestro in un raro momento di pausa dalle intense prove. «Ifigenia in Aulide mancava da Roma del 1953 - racconta - Allora non vigevano gli stessi criteri stilistici, nonostante gli interpreti di grido. Gluck è un mio prediletto: alla Scala l'ho diretto cinque volte. Nell'ultimo ventennio c'è stata una rilettura del Settecento secondo criteri filologici. Una volta Stokowsky dirigeva Bach e Mozart come Brahms. Oggi non sarebbe più possibile. Ho così dovuto trovare il suono idoneo per esprimere il mondo di Gluck, che per l'intensità del suo fiume melodico porta a Wagner. In quest'opera piena di passione e sentimento l'orchestra non si limita mai a un ruolo di accompagnamento. Così ho optato per il finale di Wagner, come alla Scala nel 2001». Il discorso passa inevitabilmente alle travagliate vicende del Teatro capitolino. «Non mi sono fatto nessuna idea in merito, anche perché qui sono solo un direttore ospite: passo dall'hotel al podio. Ma posso dire che non avverto tensione, anche se le preoccupazioni per il cambiamento restano» Ma giovedì scorso c'è stata una cena ad alto livello... «Ero invitato da Bruno Vespa e c'erano personaggi importanti della politica come Berlusconi e Letta e del clero come il cardinal Bertone. Ma non era certo l'occasione per parlare di politica o dell'Opera. Certo, quando leggo che la gloriosa orchestra di Filadelfia rischia di chiudere, mi preoccupo. La crisi la si vive anche in Europa ma per noi c'è il rischio di una perdita della nostra identità culturale. Sono consapevole che c'è una generazione di giovani affamata di cultura. Invece esistono regioni prive di orchestre o di teatri». La politica culturale fa acqua in Italia. «Ho visto Il Festival di San Remo: due orchestre, una classica ed una moderna, suonavano insieme Mozart. Speravo in una reazione degli uomini di cultura. Ci vuole una vita a capire Mozart e alla fine capisci solo un decimo. Quell'operazione non dimostra che i due mondi vadano insieme: è solo ignoranza. Sembra uno scherzo, ma è una cosa grave. Per le canzonette occorre l'ascolto di un certo tipo, ma per Gluck o Mozart occorre un ascolto che impegna l'intelligenza. Stiamo scivolando verso forme di qualunquismo e decadimento. Non bisogna far finta che la cultura sia un peso. Dobbiamo voltare pagina anche con i Teatri, ad esempio con la defiscalizzazione dei contributi finanziari alle istituzioni culturali. Tempo fa feci un appello che Bondi raccolse in relazione alle bande musicali che stavano morendo. In America ci sono 900 orchestre e in una città come Seul ben 18 seppur di diverso livello». Si tira la cinghia sui teatri lirici. «Una volta erano dei carrozzoni, con allestimenti faraonici. Bisogna invece tenere aperti i Teatri ogni giorno per mettere in condizione anche i ragazzi di zone non privilegiate di accedervi. Come accade a Vienna o in Germania. I teatri devono essere sostenuti per obbligo dallo Stato, ma non essere assistenziali. Invece oggi sono costretti a tagli importanti». Ma i politici si vedono poco a teatro... «Bondi è venuto una sola volta alla Scala, ma Napolitano è molto presente. Quello che conta però non è che vengano, ma che facciano qualcosa di concreto per lo stato della cultura nel Paese. Bisogna aiutare le scuole e dotarle di sussidi e mezzi». E la Tv? «Non si fanno concerti e l'opera lirica è trasmessa a tarda ora come un sonnifero. Non c'è un canale per la cultura. Si vedono solo programmi demenziali o scadenti. È anche immorale dal punto di vista etico, in un Paese dove c'è chi vive con 500 euro di pensione al mese, che si vincano 20-30 mila euro rispondendo a domande insignificanti». E i fenomeni Bocelli e Allevi sono utili alla musica? «Finché ognuno resta nel suo ambito nessun problema. Non bisogna mischiare i generi: sarebbe qualunquismo ed ignoranza. Ma è stupido pensare che Pollini ed Allevi siano la stessa cosa» Un sogno nel cassetto? «Dirigere la Medea di Cherubini, autore che amo. Non è facile trovare una interprete ideale. Mi sono interessato perché le sue spoglie, oggi a Parigi, vengano restituite il prossimo anno a Firenze in S. Croce. In quell'occasione mi piacerebbe dirigere una sua Messa». Ottimista o pessimista? «Sono più che altro profondamente amareggiato: da 40 anni facciamo gli stessi discorsi. Bisogna partire dalla scuola. Essere nati in Italia è un privilegio: è il paese della bellezza. Per questo lo Stato ha doveri improrogabili di promozione culturale».

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