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Una riflessione - ma di segno ben diverso, dovrebbero fare anche i dirigenti del Pdl.

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Altrettantonaturalmente, non possiamo non esprimere il nostro disagio per gli articoli che leggiamo su molte testate. In particolare, ci colpisce amaramente la Stampa che ieri ha scaricato su Soria e sul suo premio una serie di accuse e contestazioni di una gravità estrema, oltre lo sbeffeggio. Siamo lettori attenti del quotidiano di Torino e mai, ripetiamo, mai, abbiamo letto un rigo di critica, anche solo un appunto - forse siamo distratti - nei confronti di Soria e del suo Grinzane. Al contrario, abbiamo sempre letto puntuali cronache - senza ombra di contestazione - per tutti gli eventi organizzati dal Grinzane. Ma ora - solo ora - che Soria è in galera, si aprono le cateratte dell'indignazione, delle critiche le più feroci, delle prese di distanza più ferme. Le avessimo lette mesi o anni fa, quando Soria era l'operatore culturale più potente del Piemonte, idolo dell'intelligentsja della gauche piemontese, le avremmo trovate più condivisibili. Ma veniamo al punto: il centro più rilevante di questa vicenda non sono le malversazioni, ma il «modello culturale» del Grinzane, che è stato un classico evento «di sinistra» e che anzi, per due decenni, è stato proprio il simbolo della concezione della sinistra culturale piemontese «sul territorio». Il «modello» Soria era duplice: una premiopoli infinita, una dispensazione dissennata di premi, prebende, ospitalità lussuose, viaggi pagati, consulenze, cachet a intellettuali e giornalisti rigidamente del mondo del «politically correct» e una ferrea, voluta separazione dalla gente, dagli abitanti, dal territorio. Pochi lo sanno, ma gli abitanti di Alba (il castello di Grinzane dista 5 chilometri), così come quelli di Bra e Fossano, non potevano entrare nella sala del Grinzane, che celebrava peraltro spesso i suoi fasti a Torino, Parigi, New York o altrove. Gli autori premiati, le celebrità invitate, non partecipavano ad alcun incontro con i tanti lettori o amanti della cultura delle Langhe. Anzi, se ne stavano ben rinchiusi nella minuscola saletta del castello che fu di Cavour, con presenze rigidamente limitate ai pochi, pochissimi invitati. Un assurdo tale che Soria si è poi inventato il premio surrogato «Alba Pompeia», di serie B o C, che assegnava in sale gremite peraltro per di più da studenti lì trasportati in pullman dalle scuole. Un vero e proprio «mordi e fuggi», letteralmente privo di alcun senso culturale. Soria, beninteso, non è di sinistra, ma ha sempre avuto un sesto senso straordinario per vellicare i più triti luoghi comuni della sinistra: i suoi premiati, i suoi invitati - tranne pochissime eccezioni - rappresentavano solo e unicamente la cultura di sinistra - spesso di estrema sinistra - italiana e mondiale. Una sinistra da passerella, la traduzione in ambito letterario delle famose Figurine Panini che Walter Veltroni aveva deciso di allegare all'Unità, una sinistra futile, autoreferenziale, chiusa in sé stessa, che celebra - e con che lussi - i suoi fasti, le sue superbie, le sue sicurezze. Se malversazioni vi sono state - attenderemo l'esito del processo per indignarci - sono state il prodotto non della «disonestà» di Soria, ma proprio dell'essenza di questo modello culturale, della scandalosa massa di denaro che ogni evento muoveva e che versava nelle tasche degli «eletti». Se denunce di queste malversazioni non vi sono mai state (e per più di vent'anni!), è perche tutti, ma proprio tutti i premiati, le loro corti e sovente anche i giornalisti, avevano da guadagnare - magari solo una cena a tartufi e Barbaresco - dal chiudere gli occhi, da non farsi domande. Insomma, Soria rappresenta la fine ingloriosa, e anche il tradimento più spietato, del disegno togliattiano di politica culturale della sinistra. Di quel progetto è rimasto solo il tratto distintivo: l'egemonia, intesa non come capacità di persuasione e di produzione del meglio, ma come volontà di comando e di esclusione. Infine, due parole sul centrodestra: questo fenomeno distorto ha anche un'altra causa: non solo la delega, ma l'abdicazione completa e totale del centrodestra dall'agone culturale, dalle battaglie e dall'impegno per fornire ai piemontesi - in questo caso - l'accesso alla produzione letteraria. Le giunte regionali di centrodestra hanno lasciato che Soria e il suo modello di sinistra della cultura si affermasse, straripasse, costituisse l'unica attività culturale sul territorio (ad eccezione dell'ottimo salone del Libro di Torino, naturalmente). Non ha da essere fiero di questo abbandono. Carlo Panella

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