Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Massimo Ghini

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

MassimoGhini diventa un padre coraggio, alla ricerca degli assassini del figlio, morto misteriosamente nel quartiere turco di Berlino. È la trama del tv movie «Sui tuoi passi», in onda lunedì su Raiuno, prodotto da Laurentina Guidotti della Iterfilm, giovane produttrice (che firma anche il soggetto con Ottaviano e Cantarone), già apprezzata per la fortunata fiction «Il bambino sull'acqua» e per il caso cinematografico del 1996 «Cresceranno i carciofi a Mimongo». Il film tv, al quale è affidato l'arduo compito di sfidare il Grande Fratello su Canale 5, è diretto da Gianfranco Albano ed è un poliziesco a lieto fine, un viaggio sul tema dell'integrazione. Ghini, è pronto a vincere la grande sfida degli ascolti? «Non mi piace molto la collocazione del lunedì, avrei preferito la messa in onda di domenica, ma ci saranno gli Oscar della tv. È come fare cento metri con 5 chili di peso al piede: parto in svantaggio perché il film finirà alle 11 di sera e perchè non è una serie. Come era invece "Raccontami" che ha già battuto il Grande Fratello. A questo film abbiamo dato tutti molto: occorre guardare alla qualità e uscire dalla logica dei numeri. Sono favorevole alla logica del Qualitel». Come si è trovato nei panni di un padre coraggio? «La figura paterna è molto importante, oggi più di prima. Anche se siamo stati abituati a vedere più esempi di madri coraggio. Se i padri sono più assenti dalla famiglia per motivi di lavoro, non devono poi essere colpevolizzati. Se non ci fossero i padri a mandare avanti la baracca, i soldi in casa non ci sarebbero per i figli. Ricordiamoci sempre del monologo di Sordi nel film "Finché c'è guerra c'è speranza": lui era un trafficante di armi, i familiari lo colpevolizzavano, ma alla fine tutti usufruivano dei suoi soldi per fare una vita comoda. Per me, che ho 4 figli, è stato un ruolo intenso, ma non molto facile: ho dovuto trovare un equilibrio nella drammaticità del personaggio. Mi sono ispirato a certi leghisti, figli di emigrati del sud che poi hanno avuto successo al nord, rimuovendo il loro passato». Questo film è anche una testimonianza di come ancora esistano forti pregiudizi nei confronti degli immigrati... «È soprattutto una storia che ribalta luoghi comuni e pregiudizi, è una riconciliazione. A Berlino vivono 190 mila turchi e c'è rispetto verso di loro ma, al di là delle apparenze, restano sempre i sospetti. Il protagonista è un ristoratore calabrese emigrato nel nord Italia che, dopo l'uccisione del figlio, conduce un'indagine parallela a quella della polizia tedesca: scopre così che il figlio aspettava un bambino dalla sua fidanzata turca, ma non lo aveva detto a nessuno. I sospetti del padre cadranno subito sulla comunità turca berlinese». Con De Sica siete ormai una coppia collaudata del cinema: state preparando il prossimo cinepanettone? «Sì, abbiamo cominciato a parlarne con Aurelio De Laurentiis, la location stavolta sarà l'edulcorata Beverly Hills. Sono contento delle belle critiche che abbiamo ricevuto, ci hanno addirittura paragonato a Walter Matthau e Jack Lemmon. Ma a parte tutto, con Christian abbiamo raggiunto un'ottima intesa cinematografica: siamo uniti da battute brillanti in un gioco teatrale». Qualcuno mormora che insieme con il genere (quello del cinepanettone) lei abbia cambiato anche idee politiche, è così? «Mi sembra assurdo che si ricavino tali conclusioni. Sono un attore brillante che, secondo il ruolo, deve anche far ridere la gente. L'assioma "cambio genere = cambio idee politiche" è una forma di censura, sia di destra sia di sinistra. È una ripicca culturale che si riallaccia ai manicheismi del passato. Ci si attacca al simbolo o alla sigla per offrire giudizi affrettati. Invece, occorre uscire fuori dai confini dei simboli e delle sigle, per dare possibilità a tutti di sperimentare e spaziare nei vari campi professionali. Non solo nello spettacolo». Ha ancora qualche sogno nel cassetto? «Certo. Spero presto di fare teatro e a riguardo ho un paio di idee di cui per ora non parlo. Ma di sicuro sul palco mi piace raccontare l'attualità, tra recitazione e confessione. E poi vorrei passare alla regia: ho un progetto impigliato nello star system italiano, vittima di un pensiero culturale e politico che vuole tutte storie sempre legate alla banale divisione tra buoni e cattivi».

Dai blog