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E il buon Walter finisce nelle "parolibere"

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Il "giullare" David Riondino ha regalato all' Orlando Curiosoquesto testo scritto al modo futurista. E' un'anteprima, visto che uscirà tra un paio di mesi sulla rivista diretta da Giulietto Chiesa... Qui si narra, per rapidissime e paroliberiste associazioni e tratti, la vicenda illusoria e disastrosa del Walter segretario Pd. Il lettore potrà riconoscervi accenni a tante vicende del recente passato. Le parole del poeta ci servono, ancora una volta, pur nella chiave ironica del loro proporsi, ad affrontare una faccenda chiave. La caduta dell'uomo che sembrava incarnare la attenzione della sinistra alla cultura ha reso evidenti anche ai ciechi la mancanza di quella tanto decantata "cultura di sinistra". La cultura di sinistra in realtà non esisteva da un pezzo, né esiste. Esisteva ed esiste un sistema di potere (inteso non negativamente di per sé) che garantiva e garantisce spazi a uomini di cultura e d'arte che portavano acqua e voti al partito che quel sistema poi provvedeva a mantenere. È emerso drammaticamente nella recente vicenda Englaro: a sinistra esistono varie culture molto lontane tra loro proprio sulle questioni fondanti. Accanto a quella che prevale - almeno sui media - che è di ispirazione illuminista radicaloide, ce ne sono almeno altre tre: una socialista umanitaria, e una post-cattocomunista. E altre, minoritarie ma attive. Tutto questo non ha trovato amalgama né chiarimenti sui principali nodi. Si è evitato di discutere veramente, e di rischiare di riconoscere se la ragione stava più da una parte o dall'altra. E il «ma anche», come non funziona in cultura, non funziona in politica. Così proprio l'uomo ammantato d'esser il grande esponente culturale della sinistra (al di là della sua reale preparazione o cultura personale) è diventato il segno della crisi anche politica. E gli uomini di cultura, che hanno da decenni approfittato di quel sistema che già negli anni '70 Fortini e Testori stigmatizzavano, ora che hanno le panze piene e i curriculum grondanti onori, osservano la crisi politica e identitaria del partito con un certo distacco, quasi non fosse più cosa loro.

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