Lingua italiana addio
Il pesce, si sa, comincia a puzzare dalla testa. E gli afrori che emana la scuola dei giorni nostri sono insopportabili. Basti questo esempio. Il liceo classico Galileo di Firenze, l'istituto che ha avuto tra i suoi allievi un pezzo da novanta come Giovanni Spadolini, ha avuto una bella pensata. Si è fatto pubblicità a rovescio sul quotidiano «La Nazione». Difatti in un ampio riquadro del giornale si poteva leggere, sotto il nome del predetto liceo, la seguente scritta: «Open day». E, sotto ancora, tre date della settimana. Open day? Due errori da matita blu in sole due parole. Primo, open day facciamolo dire agli anglosassoni, non a studenti italiani ai quali si dovrebbe insegnare la lingua nazionale. Secondo, open day è singolare, ma le date settimanali sono ben tre. Perciò l'estensore di tale orrore, cospargendosi il capo di cenere, dovrebbe dire semmai: open days. Con la esse del plurale. O no? Ma saremmo tentati di assolvere, dopo tanta severità, questo liceo. Già, perché si dà il bel caso che più si guarda in alto e più ci cadono le braccia. Parliamo, niente meno, dell'Università. Dell'Università degli studi, tanto per non fare nomi e cognomi, di Genova. Un Ateneo di grandi tradizioni. Ora, non si può pretendere dagli ingegneri la dimestichezza con il purismo di un Basilio Puoti. Sarà per questo che la Facoltà d'Ingegneria qualche anno fa senza battere ciglio ha partorito, quando si dice il genio, «l'Open Week». Per non essere da meno, pensate, le altre Facoltà si sono bellamente adeguate senza neppure un ohibò. Magari piccolo piccolo. No, niente. Tuttavia il predetto Ateneo, bontà sua, ha avuto pietà dei comuni mortali. E nel suo sito ci sono tutte le spiegazioni del caso. Il benemerito Servizio Orientamento, per chi rischia di sperdersi nelle frasi fatte anglosassoni, spiega che «L'Open Week è il periodo di visite guidate a tutte le Facoltà che l'Università organizza ogni anno». E aggiunge che per informazioni sui giorni relativi a ciascuna Facoltà occorre consultare la pagina «Calendario dell'Open week». Tutto in grassetto, come riportato. Abbiamo il sospetto che altri Atenei non abbiano capito ma si siano prontamente adeguati. La scuola e l'università, come quel medico, dovrebbero anzitutto curare se stesse. In difetto, non possiamo aspettarci di meglio dalla cosiddetta (chissà perché) società civile. A questo punto ci possono salvare solo gli autodidatti. Un bel tipo lo abbiamo trovato. Si tratta di Andrea Giacomini, ristoratore fiorentino. Che stufo dei forestierismi biascicati dai soliti citrulli, si è fatto un punto d'onore nel convertire l'inglese dei grulli in buon italiano. Catering? No, rinfresco. Chic? No, gagà. Premier? No, capo. Glamour? No, ganzo. Dopato? No, drogato. Comfort? No, comodità. Trash? No, spazzatura. Gossip? No, chiacchiericcio. Ecco che un autodidatta, nato e cresciuto di là d'Arno, nel quartiere di San Frediano, dà i punti a chi è pagato per insegnare a parlare e a scrivere in buon italiano. Si è reso conto, lui, che di questo passo non andremo da nessuna parte. Perderemo sempre più l'identità nazionale. E staremo in Europa da apolidi. Senza radici. Senza Patria. È mai possibile che tutto questo penosamente sfugga ai luoghi deputati all'insegnamento della lingua italiana?