Carta e De Filippi Festival Mediaset
Tutto un arrancare verso la meta, poi il ragazzino ha sparato lo scatto decisivo. Il 59mo Festival è di Marco Carta, che piazza così con "La forza mia" il grande slam dopo la vittoria all'ultima edizione di "Amici". Canzone pop non leggendaria, ma costruita per garantire i consensi dei più giovani, via sms e non. L'ha scritta il chitarrista e compagno della Pausini: anche lui di nome fa Carta, come tanti nella Sardegna che giubila per l'affermazione. Gioisce anche la "valletta" Maria, che sigilla con la presenza sul palco dell'Ariston la nuova era televisiva, dove davvero la sinergia Rai-Mediaset dimostra di essere qualcosa di più di un'alleanza di piattaforme. Se non dovesse essere Bonolis a divertirsi con il prossimo Sanremo, la successione è stata già suggerita. Del resto, con il transfugo Paolo, l'ospite "Sanguinaria" e il pupillo incoronato, questa era già una kermesse targata Biscione. La volata. Alla corsa verso il podio, erano nottetempo rimasti in tre: con Carta (che di notte esultava, dichiarandosi «scioccato» e giurava di «non cambiare mai, né rinnegherò "Amici". Maria era agitata, avevo quasi l'impressione di doverla proteggere io, lì sopra»), erano rimasti il neomelodico dalessiano Sal Da Vinci (medaglia di bronzo) e il simpaticissimo Povia (argento), che aveva regalato i suoi cd con "dedica" e voto ai giornalisti da lui definiti "pennivendoli di regime". Sul palco non ci faceva mancare il suo indimenticabile cartellone finale, che un po' ricordava quelli dell'indimenticabile Bongo, il gorilla dei fumetti: lì c'era scritto sempre "Banana". Povia, viste le polemiche, non poteva scivolare sulla buccia, e sceglieva: "Ognuno difende la sua verità", poi "Ci prendiamo troppo sul serio". Ci mancherebbe altro. Grazie per aver sdoganato il mondo intero, Giusè. Il triangolo. In diretta, e non, scattava la protesta strisciante di artisti non omosessuali (Arisa, Paolo Belli, i vincitori del premio della critica Afterhours) che sfoggiavano su giacche e microfoni il simbolo dell'orgoglio gay. Per solidarietà umana, Giusè. Marcia e corsa. «E adesso pure i bersaglieri gay?». Nel pomeriggio lo sconcerto si infiltrava nelle rughe nobili dei vecchietti spalmati sulle panchine di piazza Colombo. Sanremo non si era fatta mancare nulla, a poche ore dalla finale del Festival. Impazzava la love-parade anti-Povia della costellazione omosessuale, con bacio libero sulle note dell'inno ufficiale "Se m'innamoro" dei Ricchi e Poveri e stoccate alla coppia Bonolis-Laurenti: «Da loro siparietti orribili con scene da Vizietto», tuonava il presidente Arcigay Mancuso. E fin lì era tutto chiaro. I pensionati si stringevano l'un altro, vagamente turbati, però civilmente silenziosi. Ma quando transitava l'inconsapevole banda dei soldati col cappello piumato, i vegliardi della Riviera temevano la debacle virile. «La tromba, la tromba», gridava uno, mulinando il bastone per aria. Qualcuno applaudiva, doppi e tripli sensi come se piovesse. Cose più serie. All'Ariston erano arrivati in torpedone da Pomigliano d'Arco: la delegazione dei 750 operai Fiat in cassa integrazione. Il Sor Paolino garantiva loro la visibilità e l'applauso, si spera non simbolico, del teatro. Per la verità, anche i sindaci delle Eolie erano sbarcati qui per chiedere a Bonolis spazi sulla questione dei traghetti. Ma lui allargava le braccia desolato: «E mica potemo fa 'n telegiornale», confessava dietro le quinte. La guerra continua. Alla vigilia della santa domenica, si sperava in una tregua fra Bonolis e Oltretevere. Ma niente. Il subcomandante Paolino non cedeva: «È la Chiesa che deve riconciliarsi con qualcuno, non io». Replicavano dal Palazzo Apostolico che è bene non attribuire genericamente al "Vaticano" pronunciamenti che arrivano da fonti ecclesiastiche diverse. Da domani il confronto si farà difficile: il Nostro non potrà rivolgersi dalla finestra ai suoi fedeli, né fregarsi il microfono di Sanremo. Comincia il lungo cammino verso il Festival 2010, quello che Bonolis chissà, vedremo, figuriamoci, boh, se però Maria...Di certo, volesse riaffacciarsi in Riviera, dovrà almeno accettare la pace in armi con le truppe di Pio IX. Porterà al tavolo delle trattative ascolti record (12 milioni e mezzo al venerdì con uno share del 43, 23, più di 17 punti meglio di Sua Pippità 2008. Ma dovrà rinunciare alle sue esternazioni laiciste, o smussare, rivedere, ripensare. Non ci sarà più Del Noce a parargli le spalle, e chissà chi percorrerà a passi felpati i corridoi di Viale Mazzini. O magari, stai a vedere che Fabrizietto se la cava anche stavolta. Ieri pareva ringiovanito: un anno fa era cereo, pronto per Madame Tussaud's. Maria Maria. Ecco la festa di nozze Raiset. Certo, Cappon ha detto che no, l'alleanza è solo per tirare con il digitale terrestre addosso al satellite Sky, mica siamo scambisti. E la Meloni, colta in una frasetta di disappunto sul coinvolgimento della De Filippi, precisa che figurarsi, la stima da morire come professionista. Intanto, in mancanza di una maxibusta da aprire, il mondo mediatico aspetta di vederla scendere dallo scalone sanremese. Si fa attendere, diva giocosa e paracula, perché il Sor Paolino l'aveva descritta "terrorizzata". Lei vorrebbe un corrimano che non c'è, poi si fa venire a prendere, con il primo dei Givenchy da gran sera, mica le felpone per infagottarsi tra le comari e i tronisti. Maria sussurra, canonicamente rauca: «Sogno di fare la valletta». Paolo guarda Del Noce: «La De Filippi ci sta prendendo gusto, direttore ci faccia un pensierino». Da Saxa Rubra a Cologno in tanti cadono dalle sedie. Ma il gioco, più o meno cifrato, è quello, con tanto di omaggio floreale da lei a lui in sottofinale. Pippone? Conti? In saldo. Sesso e sala stampa. Maschi contro femmine, come alle elementari. Lì le Brigate Zanicchi, qui i Nuclei Hefner. Quando è comparso l'ultimo dei modelli mobilitati in questi giorni, è scoppiata l'insurrezione. I gridolini delle signore per David Gandy hanno spinto alcuni volontari a progettare un'azione di commando sotto ai Faraglioni per rovesciarlo dal barchino, salvando la pupa dello spot. Non parliamo poi di Vincent Cassel (al quale Paolino, eroe nazionalpopolare, sferrava la testata materazziana): certe ladies svenivano, pretendendo di competere con Monique Belluccì. In apertura, erano già state lievemente ionizzate dal ballerino Giuseppe Picone, ma il Lago dei Cigni non valeva il bagno di sangue. In chiusura rispuntava Mina e il "Nessun dorma": a quell'ora, e a quel punto delle cose, suonava come un'oscura minaccia. Gli italiani restavano con la luce accesa e gli occhi sbarrati, nell'incubo di un Festival perpetuo.