Sanremo, festival da record
{{IMG_SX}}In Riviera le gioie durano lo spazio di un mattino, e il tempo di leggere qualche numerino. Alla Rai aspettavano con ansia l'estrazione dal bussolotto dello share: ed eccolo lì, quel 47 e 10 di percentuale che vale una tombola. La prima serata del Festival, con gli assi calati di Mina, Benigni e il pastrocchio Povia, aveva incuriosito più di 14 milioni di italiani, con punte di 16 quando Robertaccio impallinava il Cav e Veltroni, e riusciva a legare le mutande della Zanicchi al fazzoletto di Wilde. Un risultato inferiore solo al Bonolis I, quello del 2005 (due milioni in più di aficionados davanti allo schermo), spazzati via i dubbi preventivi sulla sopravvivenza di Sanremo: se per la discografia l'evento vale l'1 per cento delle vendite, per la tv è una gallina dalle uova d'oro. Ma nel pomeriggio, improvvisamente, le nubi si addensavano sull'Ariston. Tuoni e fulmini direttamente dagli uffici del Padreterno. La faccia di Del Noce, per dirne una, sembrava un cubo di Rubik: giravi i pezzi e cambiava colore e umore. La scomunica. Cos'era accaduto? L'"Osservatore Romano" aveva stroncato senza pietà la kermesse. C'entrava la querelle sui gay? Macché. Erano parse inopportune le scorribande del Piccolo Diavolo? Neppure. Al quotidiano della Santa Sede non era piaciuta la qualità delle canzoni, che avevano «fatto a pezzi la musica», mentre bocciato risultava anche il Sor Paolino, con le sue presentazioni «da sussidiario». La folgore aveva disintegrato il fragile buonumore di impresari e saltimbanchi, che già si trovavano di fronte all'ignoto del 2010, e al baratro di una seconda serata sempre afflitta da un calo fisiologico di attenzione, e stavolta pure dalla controprogrammazione di "Amici". Prima di pranzo, Del Noce aveva guardato con relativo ottimismo al lontano orizzonte di Roma, al Cda post-veltroniano, alle nomine in arrivo. A rigor di logica, Fabrizietto non dovrebbe durare più di un mese sulla logora poltrona della direzione di Raiuno (alle sue spalle spuntano le figurine di Mazza e di Mimun), fregandosene del prossimo Sanremo. Chi lo condurrà? «Bonolis è d'accordo con me che ripetersi non giova, all'Ariston. Non so chi sarà il prossimo presentatore, né suggerirò nomi al mio successore. Sarebbe come bruciarli. Se parlassi, per esempio, di Fiorello...». Furbo come un volpino. Certo è che lo showman siciliano (legato per contratto a Sky fino all'aprile 2010, ma i cavilli sono tanti) pare l'unico candidato spendibile per tenere botta con il Sor Paolino, e tenere vivo un Festival che, dato per moribondo, rischia di ammalarsi paradossalmente di troppa salute. A meno che il futuro non ci riservi sorprese colossale: a dire «ecco a voi» dall'Ariston ci vorrebbe un politico, uno di quelli con doti da istrione. Uno di quelli che... A sera, Del Noce confessava che neppure a lui (come al Vaticano) era piaciuta Mina in salsa pucciniana. Però, si sappia che «al nuovo Cda mi presento con la schiena dritta e senza cappello in mano». Tiè. Musica vera. Non è tutto da buttare: notevole il mix tra il requiem mozartiano e i Pink Floyd proposto in apertura dal Coro Jubilate. E Laurenti non sarà Sinatra, ma canta meglio di tanti clacson in gara, ed è più simpatico di Frank: lo dimostra con la gag rilucidata da "Il senso della vita" dei "cinque motivi per", in travolgente coppia comica con Paolino, e con il coro ecumenico di "Tanto pe' cantà" in dedica a Manfredi. Non spiace il rodato tributo a De Andrè dei vecchi sodali Pfm, con l'ausilio di Santamaria (bravo) e Accorsi (una pippa): lì l'Ariston sembra un palarock. Sesso a pacchi 1. È il vero fil-rouge di questa edizione. Bonolis dice all'Abbagnato (con la quale si immobilizza in un valzer, mentre Laurenti si trasforma in un Tafazzi) che «l'attizza» quando l'etoile parla francese; e torna sul pop-porno zanicchiano concedendo che anche le donne a settant'anni possono vivere l'amore fisico come i loro coetanei masculi. Giubilano i cumenda in platea, dando di gomito alle loro sventole caucasiche. Nell'Italia eroticamente sdoganata, da un divano all'altro si tentano dimenticati abbracci promiscui, tra dentiere che suonano come nacchere. Povia cambia cartellone alla fine del pezzo: «Nessuno ha sempre ragione». Chissà se hanno qualche ragione i tanti che sospettano di "Luca era gay" come un plagio di "Glanstonbury song" dei Waterboys. Non ditelo a Grillini, please. Sesso a pacchi 2. Sala stampa in fibrillazione per l'arrivo di Hefner e delle conigliette di Playboy. Dall'America però fanno sapere che le perdite dell'impero editoriale del maialone superano, nell'ultimo trimestre 2008, 145 milioni di dollari. A quanto ammonta il compenso Rai? O è un cambio merce? Giuria drogata. Il fatto (vero) è questo: invece di relegare i votanti nelle sedi regionali della Rai, stavolta hanno organizzato torpedoni lungo la Penisola e li hanno deportati in teatro, dopo averli tenuti segregati come aspiranti candidati di un reality, e forse affamati. Una volta in diretta, eccoli lì a sbracciarsi e fare casino: non è chiaro se si tratti di entusiasmo o di messaggi mandati a casa perché il riscatto sia pagato. Come sia, non si è mai vista la galleria così su di giri: che fine ha fatto il sussiego dei giurati, l'aplomb, l'imparzialità? Scende un cantante, quelli gridano, ballano e capisci come andrà a finire. I soliti sospetti. "Striscia" tira fuori i pentiti del televoto, dei call center noleggiati per questo o quel concorrente, e non solo di Sanremo. Ma la trasparenza catodica, si sa, non esiste, oltre l'opacità di qualche pseudo-broglio. La gara. Altri tre big finiti in nomination: Al Bano (pover'uomo), Nicolai-Di Battista (povero Jovanotti, cassato come autore) e Sal Da Vinci (povero Leonardo, costretto all'omonimia). Intanto le "proposte" confermano la loro forza propulsiva. Silvia Aprile, la defilippina Karima e forse la millesima figlia Pooh, Chiara Canzian, sorpasseranno presto in tromba i vecchi polmoni: che una volta in pensione, faranno finalmente l'amore.