I segreti di un massacro svelati da Yari Selvetella
Ecco finalmente un elemento partecipe del disastro, un'intelligenza capace di commozione. Un tale in jeans e giaccone di pelle fumava parlando a bassa voce al cellulare. Antonio entrò senza che nessuno lo fermasse. Salì le scale lentamente e senza far rumore. Dall'appartamento proveniva un parlottio indecifrabile, ma ad ogni gradino il volume aumentava e le voci sembravano proliferare, viaggiavano per la tromba delle scale e risalivano in casa, improvvisamente chiare, prima di riconfondersi in un borbottio. Poi il silenzio. Pura assenza di suoni esterni o interiori. La porta era socchiusa. L'ingresso era buio. Dalla cucina proveniva una luce gialla. I sacchi di plastica erano stati aperti, un lenzuolo nero. Erano due. Non c'era sangue. C'erano due corpi che giacevano sulle maioliche fredde, inutile la gomma dei bustoni. Le babbucce da vecchia di Marisa, i piedi nudi di Monica. Di chi era il palmo di mano, docile sul gelo, Antonio non riusciva a vederlo. Si fermò dopo un passo. Gli uomini, in piedi e accovacciati che ronzavano attorno ai cadaveri, si accorsero di lui. Uno uscì chiudendosi dietro la porta. Indossava copriscarpe di carta bianca e non aveva volto. D'improvviso si avvertì lo stridio di una motosega in lontananza. L'uomo si avvicinava, Antonio lo percepiva appena, un volto tondo, i copriscarpe. E la voce. "Esca immediatamente. Chi le ha permesso di entrare?" "Sono entrato e basta. Io vivo qui". L'uomo ritornò in cucina. Ne uscì un altro. Passando accese la luce dell'ingresso. Aveva i baffi folti, era in borghese. "Andiamo, venga giù". Scesero. Sostarono sotto il pergolato. L'altro che parlava al telefono continuò a non far caso a loro. Il cagnolino riconobbe Antonio. Gli concesse una mezza occhiata, non di più. Antonio lo accarezzò dietro le orecchie, ma la bestia rimase immobile. "Vuole restare un attimo da solo? Si sente di vomitare?". Sì, forse doveva vomitare. O forse no. "Deve venire con noi in procura. Sicuramente il giudice vorrà ascoltarla". "D'accordo". Salirono su un'automobile, una Fiat Croma ultimo modello. Con loro andò anche una giovane donna che si mise al posto di guida e subito iniziò a correre. Lasciavano Vallecupa allo splendore di una luce rarefatta. In direzione contraria giungevano un paio di furgoni attrezzati con antenne satellitari e qualche automobile piena di cronisti e operatori già con la telecamera in grembo. In una delle macchine gli sembrò di scorgere un viso noto. Lo aveva già visto, in redazione forse. "Si fermi, per favore". Ma non gli diedero retta. "Accosti. Solo un momento". L'autista continuava invece a premere sull'acceleratore, assecondando tutte le curve e dando al mezzo un assetto perennemente obliquo. Gli venne in mente chi era quello che aveva intravisto in macchina. Il giovane cronista leccaculo, quello che si veste sempre in modo consono al personaggio e saluta tutti con cortesia. Gli sembrò di averlo colto, al suo passaggio, in una posa rapita mentre senza guardare il taccuino già prende appunti, alla ricerca di un incipit efficace. Così si sarebbe dovuto conservare per sempre in un museo: mentre guarda il nulla e non si accorge di quel che scrive. Per la prima volta Antonio si chiese dove avrebbe piazzato se stesso in questa fiera campionaria dell'umanità. Tirò su col naso e gli parve di essere ingombro di liquidi. Le due guardie in borghese lo controllavano dallo specchietto retrovisore, ma intanto la Fiat Croma correva, sebbene la donna che guidava non sembrasse per niente soddisfatta della ripresa del motore. Provò più volte a liberarlo, scalando fino alla terza ed eseguendo sorpassi al millimetro. Alla fine si stancò e si mise in fila come gli altri. Chissà dove andavano tutti quanti, senza fretta, indifferenti al tempo che corre.