Katyn, la coscienza sporca di Togliatti e compagni
Katyn in un certo senso ci appartiene, ci fotografa e ci denuda. Ben prima prima delle rivelazioni di Gorbaciov e dell carte che l'ottimo Boris Eltsin consegnò a Lech Walesa, gli italiani potevano essere messi in condizione di conoscere la verità su Katyn. Potevamo sapere, quasi in tempo reale, che non si trattò di un crimine nazista, bensì dell'ennesimo fiotto di sangue sgorgato dall'industria comunista della morte. Non Hitler, ma Stalin e Berija ordinarono il genocidio degli ufficiali e dell'intelligencija polacca, allo scopo di cancellare per più di una generazione le temutissime classi dirigenti di una nazione cristiana, cattolica, contadina, culturalmente aliena dal delirio marxista-leninista. Ebbene, uno scienziato napoletano, Vincenzo Mario Palmieri, già autorevole membro della Commissione medica su Katyn, sapeva chi fossero i veri carnefici, solo che nel primo dopoguerra Stalin e Berija erano i punti di riferimento del socialcomunismo italiano. Così, la menzogna prese il posto della verità. Non a caso, dal Kremlino partì l'ordine di far tacere Palmieri. Fu lanciata, con la regìa di Mario Alicata e dei massimi dirigenti del Pci partenopeo, la demonizzazione del docente di medicina legale all'Università di Napoli. Chissà se il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rammenta quella virulenta campagna contro Palmieri; in caso affermativo, potrebbe, oggi, aggiungere particolari sconosciuti su quella terribile infamia commessa dai suoi compagni del Pci. Napolitano, certo, sa che il docente non poté più tenere le sue lezioni, essendo insultato, contestato, minacciato, accusato di connivenza col nazifascismo. Soltanto un fascista, gli urlavano gli attivisti comunisti, avrebbe potuto denigrare la santissima Armata rossa, insomma gli eroi di Stalingrado, attribuendole non opere di bene, bensì la strage di Katyn. Palmieri, che aveva moglie e figli, scelse la vita e, spaventato a morte, seppellì la relazione finale della Commissione Naville, contenuta in una scatola di scarpe, in un terreno di sua proprietà presso Cassino, proprio là dove millecinquecento soldati polacchi erano morti per liberare dai tedeschi l'ingrata Italia disinformata dai togliattiani. Diedero del nazista a chi poteva rivelare, già nel 1947-1948, la verità sui tentativi di soluzione finale ai danni del popolo polacco che Molotov aveva definito "il bastardo di Versailles". Eppure, a diffamare furono proprio i complici di Togliatti, il quale, nel 1939 -1940, scrisse parole di aperto sostegno al Terzo Reich e ad Hitler, vittima, secondo lui, degli imperialisti inglesi e francesi. Il film di Wajda disvela alla maggioranza degli italiani non solo un segmento dell'orribile mattatoio messo su dai comunisti, ma evoca anche la vergogna di chi ci ha negato per mezzo secolo la possibilità di conoscere la storia, da Katyn sino alle foibe.