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Roma gran teatro del mondo con la sua storia avventurosa

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Repubblicani, liberali e papalini nella Roma del '48» (Il Saggiatore, pag. 525) abbraccia l'orizzonte più complesso e ampio dell'avventura della rivoluzione a Roma. La vicenda prende le mosse dall'elezione di Pio IX nel 1846. Un papa che "rride, saluta / è ggiovene, è a la mano, è bbono, è bello". "Er papa novo" di Belli, che però gli preferiva il vecchio, se non altro per aver mandato a Castello "cquella gginìa futtuta" dei liberali, i "ggiacubbini". Papa Mastai promulga subito un'amnistia, tiene udienze pubbliche, riforma la censura, istituisce la Consulta di Stato e il Consiglio dei ministri. Basta e avanza per creare il mito del papa liberale. L'idillio col popolo si spezza nel '48 quando tutta l'Europa è in fiamme. Come in un film muto gli avvenimenti si svolgono in rapida successione in una logica che coinvolge equilibri italiani e europei. L'assassinio di Pellegrino Rossi alla Cancelleria il 15 novembre, il 16 l'assalto al Quirinale, la fuga del Papa a Gaeta il 24. Dichiarato "decaduto di fatto e di diritto" il potere temporale, a febbraio l'Assemblea Costituente proclama la repubblica, triumviri Mazzini, Armellini e Saffi. E proprio mentre sta per soccombere alle truppe francesi del generale Oudinot promulga una costituzione molto in anticipo sui tempi, attirando le mire di tutta Europa. Tomassini ricostruisce con passione, ma anche con una vena di sottile ironia e scetticismo, una stagione di grandi ideali, "la storia delle illusioni, terribile e grandiosa", oggi quasi dimenticata. Interrogando documenti ufficiali, ma anche diari privati, giornali, memorie, scavando nella psicologia, mette a fuoco i protagonisti del Risorgimento. Che non sono santi né demoni, ma persone vere. E disegna la scena su cui si muovono, la città di Roma, "teatro del mondo"; il sogno dei "giovani anni" di Mazzini, dove tutto quello che accade assume una valenza nazionale. Non si limita a una fredda concatenazione degli eventi Tomassini, ma si sforza di capire le motivazioni profonde che determinano le azioni dei personaggi, attento a seguire il filo impercettibile che lega la grande alla piccola storia. L'autore guarda con la stessa umana comprensione, con pietas, i moderati, i rivoluzionari, i reazionari, invitando ogni tanto il lettore a fermarsi e a riflettere con lui. Di Pellegrino Rossi, il ministro dell'interno ucciso dal settarismo insensato (vendetta carbonara? massonica?), ammira la temerarietà, di Luigi Carlo Farini, bistrattato dal governo repubblicano e dal ripristinato governo pontificio, la lucida intelligenza politica. E rispetta le angosce, le contraddizioni di Pio IX, l'ultimo papa re di quegli anni turbinosi.

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