Con i bambini nel cuore Le emozioni di un inviato
Quelle sensazioni piene di drammi, ansie, paure e lacrime che neppure la diretta televisiva riesce a far apparire. «Il cecchino e la bambina» (Rizzoli, pag.300) di Franco Di Mare racconta tutto questo come promette anche il sottotitolo. Inviato per il Tg2 su fronti di guerra e aree di crisi, Di Mare ha scritto un libro rovistando tra i suoi taccuini. «Materiale di risulta», confessa in tono scanzonato e un po' drammatico come è nell'animo di un napoletano di sangue. «Ho svuotato le tasche così come facevo ogni volta che tornavo a casa», spiega Franco Di Mare. Quello che esce è qualcosa di avvolgente perchè vero. Non c'è l'indulgere del ruolo fantastico dell'inviato di guerra così come in tanti amano raccontarsi. Di Mare scrive la vita. La «sua» in luoghi sfigati e dove la lotta per la sopravvivenza può essere dura anche per un reporter occidentale. Ma soprattutto racconta le storie di gente qualunque che, se hanno trovato spazio nei tg, hanno riempito appena una manciata di secondi. Sono ventuno i racconti che hanno come scenario l'ex Jugoslavia e la martoriata Sarajevo. Kabul e l'Afghanistan. L'Iraq e Bassora. L'Africa. E ancora Timor est e la battaglia privata con le zanzare intrapresa tra Franco e Fabio Cucchioni, altro inviato del Tg2, che quotidianamente dovevano vedersela con stormi di «mosquito» pericolosamente armati di plasmodio malarico. Un libro che parla di tic e manie. Paranoie e vizi che un giornalista che vive per settimane e mesi lontano da casa, dormendo per terra o in un albergo dove le finestre sono teli di plastica e lo scarico del bagno del piano di sopra goccia sul proprio giaciglio. Episodi di paronie e malinconie che al ritorno a casa in redazione si intrecciano nella vita degli affetti. Con quelle schegge di drammi così lontani ma ormai nella mente di chi quelle scene le ha viste e vissute. Storie di bambini. Che entrano dentro e ritornano nei sonni romani. Quando stai sovrappensiero alla guida dell'auto. Ecco che ritorna il viso di Amira. «Amira era una bambina di Sarajevo. Stava partecipando alla recita scolastica quando è finita nel mirino del cecchino - ricorda Franco Di Mare - L'ho vista così sul tavolo dell'obitorio di Sarajevo. Un forellino sul petto che le ha spaccato il cuore e il visino sorridente. Bloccato in quell'espressione soave che faceva parte del personaggio della recita». Amira e gli altri bambini di Sarajevo entrati fino nel profondo nell'animo dell'inviato Di Mare. Con legami indissolubili. «Per forza. Sarajevo è lì dietro casa - spiega Franco Di Mare - Uomini dalle sembianze come le nostre. Vestiti come noi. Ragazze in minigonna. Al cimena vedevano i film che era programmati nei nostri cimena. Un ora di volo da Ancona. Dietro l'angolo. Quando sei lì e vedi l'orrore, la crudeltà di una guerra fratricida pensi: potrebbe accadere anche da noi. Siamo qui a due passi. Le guerre, i morti in altre parti del mondo vengono liquidati con una distanza geopolitica. Lì a Sarajevo era tutto diverso». L'orrore nel cortile di casa. «Il cecchino e la bambina» racconta un backstage che fa parte dell'anedottica privata dei quel circolo esclusivo degli inviati di guerra. Ma senza mitizzare nulla. Anzi si parla di piccoli drammi come quello di Alessandro Digaetano, il fotoreporter che accompagnava Maria Grazia Cutuli, colpito da una crisi di tifo e costretto a ritornare in Italia prima di entrare in Afghanistan appena liberato dai talebani. Sopravvissuto due volte: al tifo e alle pallottole che massacrarono Maria Grazia e altri tre reporter. Franco Di Mare quella vicenda l'ha vissuta intensamente ma in questo libro entra di soppiatto. Per non appropriarsi di un dramma di altri. Un fatto di stile e di professionalità di chi racconta le storie entrandovi in punta di piedi. Polvere, sangue, tanfo. Ma anche qualche sorriso e soprattutto il racconto autobiografico senza enfasi di una vita in prima linea nel rispetto di chi soffre. Con i bambini nel cuore.