Povero Futurismo sull'orlo di una crisi di nervi
A Milano, a Palazzo Reale, la megamostra «Futurismo», che si dilata dalle premesse (il divisionismo) ai lontani lasciti italiani (Fontana, Dorazio, Schifano). Esaustivo, illuminante l'evento di Bologna. A Milano, invece, c'è troppa roba e però mancano lavori fondamentali. Insomma, mostra fuorviante. Come può un visitatore mediamente informato dell'arte del '900 metabolizzare in una visita 400 opere? C'è bisogno di esporre accanto a capolavori assoluti, come i quadri di Boccioni e di Balla, innumerevoli cose minori benché dovute a celebri artisti? Perché così tanto Depero, autore che non necessita di esagerato stuolo di lavori per essere conosciuto e riconosciuto? Insomma, come si dice di opere di scrittura prolisse, non c'è stato forse «il tempo necessario a essere brevi». E infatti il catalogo Skirà è di 452 pagine, fuori dalla più larga portata per prezzo (e per peso). In esso Giovanni Lista, curatore della rassegna, firma una decina di testi. Egli è studioso tra i più approfonditi. Ma il catalogo di una mostra è la sede giusta per fare cotanto sfoggio saggistico? E sacrificando l'indice dei nomi? Ciò che tutti ripetono è vero: per mancato coordinamento delle iniziative espositive, coordinamento che l'allora ministro dei Beni Culturali Rutelli avrebbe dovuto istituire tre anni fa, succede che i curatori più in vista si stiano disputando le opere maggiori. Col risultato che non vedremo buone sintesi espositive dal futurismo artistico. Che per comune accettazione degli studiosi va dal 1910 al 1944, anno di morte di Marinetti. Lidia Lombardi