Malvagi e vincenti
Sono interessato al problema perché alcuni critici sfiorano, o almeno sottintendono il concetto anche a proposito della mia narrativa, dove il buonismo sarebbe di casa da sempre, in forme più o meno accentuate ed evidenti. Ciò mi metterebbe automaticamente "fuori dalla storia". Farebbe di me uno scrittore con un certo «quorum» di falsità, perché nel mondo di oggi, per l'appunto, sono il Male e il cinismo egoistico a trionfare. Sarei uno scrittore irrealista, un narratore di favole, ad uso delle anime pie. La faccenda del «buonismo» apre alcuni problemi che vorrei chiarire almeno un poco. Innanzi tutto chi preferisce dare spazio ai personaggi positivi piuttosto che ai malvagi non è fuori dalla realtà. È vero che il Male esiste e sembra dominare il mondo; ma c'è anche il Bene che, come molti hanno ricordato, fa molto meno rumore ed esercita sugli uomini un fascino assai più modesto. È più probabile che eserciti maggiore attrazione la storia di un serial killer, come quella raccontata da Giorgio Faletti in Io uccido, o di malavita organizzata, come in Gomorra di Roberto Saviano, o i racconti gialli di Andrea Camilleri che, non so, un libro su madre Teresa di Calcutta o su don Gelmini. Del bene si parla molto meno e assai più raramente lo si rappresenta. Ma esso non è soltanto una favola. È una realtà. Le persone buone e generose esistono. Ci sono eserciti di volontari che aiutano popolazioni colpite dalla sventura, sia dovuta alla natura o alla violenza della Storia. Gli ex alpini sono sempre in prima fila in queste circostanze. Spesso lo sono le associazioni religiose, suore e sacerdoti missionari che vanno in ogni luogo del mondo dove ci siano fame, miseria, bambini abbandonati, ingiustizie verso i poveri da parte di grassi proprietari o del Potere, ad essi alleato. Ci sono volontari che aiutano i vigili del fuoco e in genere il personale della protezione civile. Ci sono i medici senza frontiere. Tutti volontari. Ci sono gli uomini del soccorso alpino, sulle montagne o nelle viscere della terra. Sono moltissimi quelli che si occupano di extracomunitari, di barboni, di gente senza casa, senza lavoro, senza speranza. Si potrebbe continuare all'infinito, celebri scrittori come Baudelaire o Gide hanno affermato con sicurezza e convinzione che la buona letteratura non si fa con i buoni sentimenti. Il capolavoro di Baudelaire si intitola Des fleurs du mal. Gide ha scritto libri come L'immoralist, Les caves du Vatican, Les faux monnayeurs, e altre dove il male, sotto varie forme, predomina. Nei Sotterranei del Vaticano v'è un personaggio, Lafcadio, che diventa assassino senza alcun motivo al mondo, solo per il gusto di uccidere, per compiere un'esperienza anche nell'Êtranger di Camus succede qualcosa di simile, ma qui il ruolo maggiore lo gioca il caso e l'assurdo. Posso essere anche abbastanza d'accordo con le convinzioni di Baudelaire, di Gilde e di Camus, ma aggiungendo anche il contrario, ossia che neppure i sentimenti malvagi garantiscono la bontà della letteratura. La buona letteratura la fanno i veri scrittori, ricchi di umanità e di poesia. Mi pare che oggi essi siano una sparuta minoranza. Ai nostri giorni moltissimi scrittori conformisti hanno accettato a occhi chiusi la Poetica del male, o quella montaliana del male di vivere. È una buona scelta? Se ne può discutere a lungo. A sostegno della poetica del Male spesso viene tirato in ballo anche Aristotele. Nei brani sopravvissuti della sua Poetica v'è un'opinione celeberrima sul teatro greco. Esso, asserisce il filosofo, racconta bensì anche il male, il delitto, il parricidio, l'uccisione della madre (come nella trilogia di Oreste). Ma la rappresentazione delle violazioni più rabbrividenti della legge morale può avere un effetto catartico, purificatore. Assistere nella rappresentazione del male e delle sue conseguenze può indurre le menti degli spettatori a liberarsi delle passioni rovinose. Se l'affermazione di Aristotele fosse vera al cento per cento, le poetiche nella rappresentazione del male sarebbero giustificate da una voce potente che viene da un passato molto lontano. Ma la catarsi è solo una delle facce della medaglia. D'altra è che molti, specie i giovani, specie le menti deboli, e non solidamente conformate, sono talmente suggestionate dal male da essere indotte a imitarlo nella realtà. Non c'è delitto, furto, violenza, truffa clamorosa, assassinio apparsi in film o libri che non siano stati imitati da qualcuno. Ricordo un solo esempio. Anni fa un ragazzo uccise un amico con un colpo di karate al collo. L'aveva appena visto fare in un film e ne era rimasto affascinato. la mia opinione è che il Male rappresentato nell'arte susciti più il gusto della imitazione che il sentimento della catarsi. Perciò io racconto piuttosto il Bene che il Male. Certo non ignoro le mille forme di quest'ultimo, perché sarebbe come mentire, deformare la realtà. Me le relego in secondi o terzi piani delle mie storie. Il Male c'è ma, nei miei romanzi, non celebra turpi trionfi. Esso non è tutta la Realtà, ma soltanto una delle sue componenti. Non possiede attrazioni di sirena, ma diffonde ululati di lupo e stridi di cornacchia. Non faccio la retorica dei buoni sentimenti, ma una rappresentazione umana e misurata di essi. A volte, per acquistare maggior credito presso i lettori, fornisco le mie storie di un andamento lievemente umoristico e vastamente inventivo. Non sono uno scrittore «buonista», ma uno attratto dal Bene; uno che non induce in tentazione, ma tende a creare una nicchia di serenità all'interno della eterna tragedia del vivere.