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Questa Italia volgare perfino davanti alla morte

Carlo Caracciolo

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Si è visto nel modo in cui un grande quotidiano, espressione dell'establishment, ha trattato la morte di Carlo Caracciolo, principe dell'editoria, patron del gruppo che tanto ha contato nel nostro Paese, ispirando con La Repubblica e L'Espresso la linea culturale (autori, idee etc) che rappresenterebbero, il condizionale è d'obbligo, la vita dell'Italia. Il Corriere della Sera di lunedì scorso, oltre a ospitare una lettera del figlio del grande editore, ha ripreso un brano dell'intervista a Giuseppe Ciarrapico uscita sul Sole 24 ore il giorno prima. Lungo colloquio, ricco di fatti e aneddoti. Ma quello che ha colpito l'attenzione del principale quotidiano italiano (peraltro in calo spaventoso di copie e qualche ragione, forse, c'è) era proprio alla fine dell'intervista. Quando, cioè, l'industriale romano racconta che Carracciolo non solo «aveva preso una sbandata per Ségolène Royal» tanto da comprare un giornale solo per farle piacere (!), ma «ha esercitato fino all'ultimo, non esitando a servirsi dei moderni ritrovati della farmacologia». Segue ricordo dell'infarto avuto da Caracciolo per aver preso troppe pastiglie di Viagra. Con il Ciarra che domanda all'amico quante pastiglie e al segno fatto con la mano dal degente lo apostrofa con un «Tu sei pazzo». Il quotidiano di via Solferino, evidentemente avendo ritenuto quella memoria, su tutte, meritevole di nota, ne fa un articolo. E titola: «Salvò le mie cliniche. E amò fino all'ultimo». Ora. A parte il verbo «amare» riferito all'assunzione di un farmaco, perché consegnare la memoria di un uomo, rispettabile o criticabile quanto si vuole, a questo genere di ritratto? Ognuno, naturalmente, è libero di amare come gli pare e di prendere il Viagra fino a cent'anni. Ma perché, nel ricordare la lunga vita di un uomo che tanto ha significato per questo Paese, il quotidiano dei salotti buoni decide di riprendere l'episodio del Viagra, da commedietta all'italiana? Le spiegazioni possibili sono due. Perché - pensano - queste cose fanno vendere. Ma allora chi dirige il Corsera dovrebbe chiedersi come mai vende sempre meno. Oppure perché tutti, il principale quotidiano italiano come i media in generale e chi vuole raccontare la vita, si è diventati mediocri. Di una mediocrità che si contenta di se stessa, svuotata di tensione. La medesima che tracima da trasmissioni cosiddette popolari che costringono il "popolo" (termine così impoverito, usato ormai solo per indicare il successo di pubblico) a vedersi come lo vedono gli autori e i conduttori di quelle mediocri performances. La medesima che trascina al disimpegno nei campi vitali della educazione, a scuola, nelle università. Persino di fronte al destino ultimo di un uomo, fosse pure un rivale, si sta scegliendo questa strada. Così uccidendo l'Italia, quel poco di grandezza che ci resta, e che soli ormai cantano i poeti.

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