La polemica innestata da Francesco Storace a proposito del ...
Credo dal canto mio che sia legittimo discutere di questa come di qualunque altra iniziativa cittadina e che sarebbe giusto farlo con serenità, senza isterismi. Non entro sul problema dei costi dell'impresa, che andranno valutati in relazione all'ampiezza e al carattere del progetto. Confesso che qualche perplessità mi suscita il luogo scelto, con evidente volontà di ulteriore damnatio memoriae di Benito Mussolini: premessa l'imperdonabilità delle leggi razziali e di tutto quel che le è tenuto dietro, mi chiedo se e fino a che punto sia opportuno riassumere tutto il significato storico del fascismo e del suo fondatore in quelle scelte delittuose; e se sia bene occupare definitivamente e completamente con un Museo destinato a perpetuare la memoria di un'orribile tragedia storica in un edificio che, insieme con i suoi annessi e il suo splendido parco, rappresentano anche altri aspetti e altri valori della storia di Roma. Ma non credo possano esserci dubbi possibili sull'opportunità di un grande Museo destinato a quell'evento del quale un grande premio Nobel, Elie Wiesel, ha saputo con tanta forza esprimere l'ineffabilità e l'inesplicabilità. Roma è la sede storica di quella che forse è la più antica comunità ebraica di tutto l'Occidente. E, come città universale, essa è la sede forse più opportuna al mondo per richiamare al valore universale della Shoah nella coscienza contemporanea. In effetti, l'unicità di quell'evento non sta nell'essere stato quello che ha prodotto il più alto numero di morti, o gli uccisi con il massimo della crudeltà. La contabilità della morte e della sofferenza è ripugnante. Né essa sta nell'essere stato, come qualcuno ha in passato preteso, il solo a rappresentare la conseguenza di una decisione, per così dire, «a freddo», accuratamente programmata. Il punto è che la consapevolezza della Shoah è per noi una discriminante storica profonda, che ci obbliga a un ripensamento morale e critico dell'intero passato. C'è un «prima» e un «dopo» la Shoah: la conquista della consapevolezza di quell'orrore ci costringe a chiederci che cosa sia e che cosa sia stata la storia, di quante lacrime dimenticate e di quanto sangue misconosciuto grondi la millenaria vicenda umana. Gli storici sono già da tempo giunti alla conclusione, quindi, che il confronto della Shoah con gli altri massacri non sminuisca per nulla il sangue versato dagli ebrei, ma anzi lo innalzi ai livelli di un valore simbolico e paradigmatico. Conoscere sempre più a fondo quante e quali siano state le sofferenze che nel corso della storia l'uomo ha inferto ad altri uomini non significa per nulla «normalizzare la Shoah», bensì alla luce della rivelazione del suo indicibile orrore denunziare una volta per tutte, e definitivamente, l'orrore di qualunque violenza. Perchè il modo migliore di onorare la memoria dei morti di Auschwitz è impedire che da oggi in poi anche un solo essere umano abbia a patire un'analoga violenza. E i fatti anche recentissimi ci suggeriscono quanto siamo invece lontani da tutto ciò. I bambini morti a Gaza non sono affatto una «risposta» a quelli morti ad Auschwitz: al contrario, sono gli stessi, si aggiungono alla loro schiera, non possiamo non abbracciarli a quella stessa pietà. I massacri ci sono sempre stati, e gli esseri umani li hanno tollerati con rassegnazione o con cinismo. Ma è solo la coscienza della Shoah ad averci risvegliati, ad avercene rivelata tutta l'insostenibilità. È nel nome di essa che ci siamo scoperti non più disposti a sopportare quel tipo di orrori; è nel nome di essa che, oggi, scopriamo di doverci vergognare anche di quelli che dopo di essa abbiamo continuato a consentire: e che bisogna fermare le macchine infernali ancora in moto. Ecco perché la Shoah non può e non deve prestarsi ad equivoci; non può e non deve servire da «mostro da sbattere in prima pagina» per coprire i massacri degli indios, dei pellerossa, dei tasmaniani, dei circassi, degli armeni, dei russi durante il bolscevismo, dei cinesi nelle varie fasi della rivoluzione prima nazionalista poi comunista, dei cambogiani vittime di Pol Pot, dei tutsi in Ruanda. La proposta è quella di ampliare il Museo della Shoah dedicando, al suo interno, una o più sezioni dedicate a tutti i massacri della storia. Farlo davvero divenire un grande laboratorio di «disincanto» rispetto alla storia e di progettazione del suo riscatto nel nome dell'umanità. Un riscatto che non siamo fino ad oggi ancora stati capaci d'imporre.