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Carmelo Bene, un artista impossibile da duplicare

Carmelo Bene

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Fiero, collerico, presuntuoso, visionario, eccentrico, bizzarro, dissacrante, luciferino, Bene ha riletto e rivisitato la tradizione poetica, teatrale e cinematografica a partire dal suo talento, dal suo fuoco. Tutto sembra terminare con lui, in una specie di ultima fiammata. Bene si è posto come "alfa e omega" dell'Arte, metà romantico e metà grottesco, sempre in bilico tra un sublime sorgivo e un disprezzo buffonesco. Bene ha continuamente rovesciato le tradizioni e i canoni; ha depistato i suoi "lettori" con oscurantismi dotti o visionari; ha ribaltato, con la "scrittura di scena", il professionismo e il servilismo del teatro borghese. Bene non è stato né attore né regista né scrittore: è stato qualcosa in più, ovvero un Artista Assoluto. Tutto ciò che lui ha fatto non costituisce un "repertorio", perché senza Bene la sua opera è morta, è inerte, è "inconsumabile". È una sorta di damnatio memoriae che il salentino ha lanciato alla posterità; anzi, finché è stato in vita ha giocato più volte a fare il morto, il postumo per eccellenza, l'assente. Il mondo, per Bene, sarebbe finito con la sua morte; e, così issato al centro dell'Arte, Bene non si è mai periferizzato rispetto alla tradizione o ad altro; addirittura, scrisse, fu lui ad apparire alla Madonna. Fu anche un tenebroso romantico hegeliano, ma tutto percorso da interferenze comiche, grottesche, buffonesche, che mai però lo portarono nei territori dell'ironia, ovvero della "fredda" pratica del distanziamento. La sua faccia bizantina e stravolta sembrava la faccia sperduta di un santo abbandonato e impazzito, sperso nelle lande di un impero crollato. Tutto doveva sembrargli decadenza, se non la sua grandezza, ultimo bagliore prima della notte eterna dell'Arte. La parola di Bene è violentata, ubriacata, estremizzata; il suo corpo è la sintesi di tutte le convulsioni, le risa e i dolori corporali; mentre il fuoco sembra divampare senza requie sulla scena, sulla pellicola, sul suo volto ora beffardo, ora cattivo, ora agonico. La sorella di Carmelo Bene dice che suo fratello non morì di cancro al fegato, ma per mano altrui. Quello che non si accetta davvero, però, a nostro avviso, è la sua assenza, che ha reso assente anche la sua opera, la sua possibile memoria. La complessità di Bene ha reso impossibile la sua memoria, obbligatoria la sua smemoratezza. Chiunque tentasse di decifrarlo, è come se venisse travolto dalla sua risata isterica postuma, prepotente finanche nell'Averno. Ha usato certamente le parole, le tradizioni e i "repertori" culturali che noi tutti usiamo, e gli spazi che noi tutti calpestiamo, ma riducendo tutto a sé, al suo sublime e diavolesco disegno. Sappia la sorella ferita che Carmelo Bene è l'artista più morto dell'Arte universale; uno dei pochi che abbia portato nella tomba la propria opera, senza pensare agli altri e senza pensare al dopo, al dopo del mondo. Carmelo Bene è l'assolutamente morto per eccellenza. È inutilizzabile, se non sotto forma di precaria replica video. Che sia morto per cancro o altro, rimane il fatto che Carmelo Bene non voleva sopravvivere a se stesso, avendo provato in vita l'ebbrezza di essere postumo, ovvero di essere il più grande morto della stirpe dei vivi. A quel tempo, perciò, secondo noi, bisognava piangere e disperarsi.

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