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"Faber" per primo avrebbe riso della patente di poeta

De Andrè

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Ma non facciamoci illusioni. In alcuni casi i miti di ieri sono ancora i miti di oggi e lo straordinario successo di pubblico (stavolta è lecito definirlo di pubblico e non di audience) lo dimostra ampiamente. Così come dimostra l'assoluta cecità dei nostri direttori di rete, nel voler insistere a considerare la musica uno scaccia pubblico, addirittura poco televisiva. Sono stati smentiti ancora una volta. Chissà, forse De Andrè non avrebbe gradito tutte queste commemorazioni, dove non c'è mai posto per il contraddittorio. Certamente non avrebbe gradito la patente di poeta, rispedita al mittente per tutta una vita. È poeta chi non si tutela, chi opera una scelta di vita e soprattutto uno stile di vita, in sincrono con i propri versi. È poeta Le Roi Jones, che ha pagato in prima persona i suoi versi, lo è Gregory Corso, che ha scritto le cose migliori in strada, quando l'America aveva paura. Da noi lo sono Caproni, Bellezza, Rosselli, che non hanno mai goduto di uno status da privilegiati. È un po' meno poeta chi lo fa con il pennino, chi cade sempre in piedi, chi può contare sulla forza dell'estrazione sociale, della pax economica, della celebrità. Soprattutto quest'ultima, che fra l'altro continua ancora a dettare legge nel mondo dello spettacolo. De Andrè contava eccome su tutto ciò, ma lo faceva con arte e con stile, nei momenti più felici anche con auto-ironia. Se Vasco Rossi non ha trascorso l'adolescenza sui libri, ha comunque dimostrato di saper eccitare il pubblico, senza scrivere poeticamente ma entrando nella vita dei suoi coetanei (e poi in quella dei loro figli, forse anche in quella dei nipoti) con un atteggiamento corretto dal punto di vista metropolitano; al contrario Faber è stato uomo di cultura e di buone letture, che per tutta la vita ha cercato di fondere due forme espressive magari trovandone una terza, forse più grande della loro somma. Se il verso di Vasco, che deve pur far cantare ottantamila persone, somiglia alla rovesciata di Kakà, quello di Andrè è più vicino alla "foglia morta" di Didì. Due diversi modi di liftare. Diciamo che De Andrè è stato poeta a modo suo. Un poeta "craft", termine con il quale si indicava l'abilità manuale e artigianale di orafi e sarti, ma anche poeti. L'artista "craft" non cerca la vertigine o l'oltraggio, anzi è un antiromantico, fiero del suo stile di vita borghese, che certo non metterebbe in discussione per una rima. Proprio come De Andrè.  

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