Tiberia de Matteis Il teatro è la passione del passato e ...
Mentre sta per uscire il suo film "Il grande sogno", dedicato al Sessantotto, si racconta stasera al Teatro Tor Bella Monaca di Roma, di cui è direttore artistico, nel recital "Vivere nel cinema e nel teatro" condiviso con Massimo Popolizio. Placido, che periodo sta vivendo la nostra cultura? «Ci sono pochi grandi eventi e non solo per la crisi economica. Nel dopoguerra i soldi erano pochi, ma vennero allestiti spettacoli indimenticabili. Sono i media che hanno i megafoni più importanti e distraggono dalla verginità culturale: una volta si discuteva nei caffè, ora si presenta un libro in televisione in mezzo alle pubblicità. Il piccolo schermo è onnivoro e massificante: un giovane che vuole emergere non pensa a formarsi, ma va ospite dalla De Filippi. Il teatro può diventare l'ultima sponda, il luogo in cui riunirsi per rilanciare nuove modalità culturali. Credo, per esempio, che "Ploutos", diretto da Massimo Popolizio al Teatro di Tor Bella Monaca, potrà costituire una rivelazione della prossima stagione in quanto si allaccia all'identità del territorio e alla realtà delle periferie. Ci sono tanti giovani bravi che scrivono i loro testi. Da loro si può ripartire». Lei, invece, come era al suo esordio? «Ho debuttato nel 1969 con "Orlando Furioso", diretto da Ronconi, ma il mio vero maestro è stato Orazio Costa. Un padre nobile per tutti noi. Mi salvò all'esame di ammissione in Accademia. Mi avevano già mandato via, quando mi chiese se avessi una poesia da dire. Recitai "Mania di solitudine" di Pavese e lui decise di prendermi, dicendo che, se sapevo commuovermi per quel brano, avrei potuto dare molto al nostro lavoro. Al di là del perfezionismo, della cura degli aspetti tecnici, sapeva leggere negli allievi la dimensione umana che era lo scopo della sua filosofia esistenziale oltre che del suo metodo». Quale rapporto ha oggi con il teatro? «Sono nato nel teatrino romano di Via Vittoria e il legame con la scena è rimasto sempre fortissimo: ho considerato il cinema e la tv come due deviazioni più moderne di quell'arte. Essere un attore significa recitare sul palco: dire una parola e far vibrare il proprio corpo all'unisono con lei. Avverto il bisogno di esprimermi in tale forma e a questo punto della mia vita potrei abbandonare tutto per dedicarmi solo al teatro. Il mio nuovo progetto è "Equus" di Shaffer, di cui ho preso i diritti: è la storia di un ragazzo che acceca i cavalli, incarnata di recente da Daniel Radcliffe, l'attore che interpreta Harry Potter. Segnerà il mio ritorno a teatro nel 2010». Come valuta il cinema italiano? «È un momento felice: Sorrentino, Garrone e anche Muccino, troppo poco amato dalla critica, segnalano che il nostro talento esiste ed è apprezzato all'estero». E l'esperienza al teatro di Tor Bella Monaca? «Sono contento di aver potuto dare un contributo socialmente utile in un quartiere che non è solo degrado. Grazie al Comune di Roma. Sia la precendente amministrazione che quella attuale».