Quei magnifici «Bronzi di Riace» soli e abbandonati a se stessi
Non c'è un vigilante, una guardia giurata, qualcuno a cui chiedere informazioni. Nessuno, assolutamente nessuno. Ma come è possibile tutto questo? Più in là, solo un signore, che potrebbe essere scambiato tranquillamente per un visitatore - forse per l'assenza di una divisa che lo faccia distinguere e riconoscere come appartenente alla vigilanza - indica la biglietteria, che si trova appena lì sulla destra. Staccato il biglietto d'ingresso, una signora ti invita a prendere le scale per raggiungere il livello inferiore, dove si trovano le varie sale che custodiscono i reperti dell'arte greca e dove c'è, in particolare, la sala nella quale è possibile ammirare i «Bronzi di Riace». Cominciando a scendere, però, un orrore certamente non degno di un museo. Le pareti, già non proprio bianchissime, sono ulteriormente «ornate» da orrende scritte, in vari colori, e da alcune strane cavità, lasciate nei muri forse dopo l'estrazione di qualche scatola che stava lì a contenere qualcos'altro. Una cosa assurda, addirittura offensiva, se si pensa al contesto nel quale ci si trova, a pochi metri da due splendidi esemplari dell'arte greca del V secolo a.C., unici al mondo, ai quali, in altre parti d'Italia (a Firenze dopo il Restauro e al Quirinale per l'esposizione voluta da Pertini nel 1981) è stato riservato un trattamento certamente diverso. E come se non bastasse, ancora un altro problema: la notizia che l'impianto di climatizzazione non funziona bene: entrati nella sala, la temperatura si abbassa rapidamente. Forse ad agosto non sarebbe stato un problema, ma a dicembre… Una volta dentro, però, ogni problema svanisce. Davanti agli occhi comincia lo spettacolo. I «Bronzi di Riace», una delle più importanti scoperte archeologiche che l'Italia possa vantare, che ha fatto il giro del mondo e che provoca ancora forti emozioni: per la magnificenza, per la bellezza che trasuda da ogni sinuosità del corpo, da ogni ricciolo della chioma di Tideo, il guerriero più giovane, la cosiddetta «statua A», definita così per distinguerla da Anfiarao, la «statua B», affascinante anch'essa, forse per il colore del bronzo, diverso dal primo. Un elemento, questo, da addebitare magari alla sua età, perché è stata realizzata 30 anni più tardi rispetto alla prima statua. Un'ipotesi, una supposizione, visto che una guida vera e propria qui non c'è. E quando arrivano i turisti dall'estero? Ci sarà una voce guida che accompagna il loro percorso? Nemmeno questa, almeno non più, visto che c'era fino a 3 anni fa, quando a gestire il Museo non era la Kore s.r.l., ma un'altra società: la Nova Muse. E la sala? Questa sala arricchita da due tesori dal valore inestimabile? Vuota, spoglia e assolutamente deserta! Tornando al colore del bronzo, quello della «statua B» è diverso dall'altro semplicemente perché ad illuminare la «statua B» c'è un faro di luce che manca alla «statua A»: il faro ormai andato e non è stato sostituito. Basterebbe quanto finora raccontato per far riflettere sullo stato di conservazione, o di abbandono, dei «Bronzi di Riace», «parcheggiati» dal 1981 nel Museo Nazionale di Reggio Calabria, ma purtroppo c'è dell'altro. A proteggere le due statue bronzee da possibili atti vandalici o, comunque, da visitatori troppo «curiosi», nessuna separazione vera e propria, ma solo il basamento sul quale sono stati posizionati per dare loro slancio e visibilità: una scelta questa, fatta nel 1981, quando si decise di destinare i «Bronzi di Riace» al Museo dell'ex capoluogo di regione, dopo essere stati a Firenze, nel Centro di Restauro della Soprintendenza Archeologica della Toscana. Una scelta che, a quasi trent'anni di distanza, dopo i tanti gesti vandalici che troppe volte hanno offeso alcune delle nostre opere d'arte, forse avrebbe dovuto subire qualche correzione. Alla fine della visita certo dispiace dover distogliere lo sguardo da queste due bellezze, soprattutto se si incrocia poi un'imperfezione che contrasta con tale splendore. Sono quelle stesse orribili chiazze scure, evidenti segni di noncuranza, già viste per le scale, presenti anche qui, sulle pareti della sala: uno spettacolo davvero poco edificante a fare da cornice a quella che è stata una delle scoperte archeologiche più entusiasmanti del nostro secolo. Una scoperta che avrebbe dovuto contribuire al rilancio della Calabria, alla quale invece, la stessa regione non sembra aver riservato un trattamento degno del suo grande valore, artistico e storico.