Quando fischiò la regia di Visconti
È uno degli autori più difficili da tradurre in quanto compie un'operazione semplice e arguta: scrive sulla falsariga di drammaturghi come Noël Coward senza stravolgere la loro struttura. Il dialogo sembra all'inizio molto simile a quelli classici, ma poi si inserisce lo stile di Pinter come se in Mozart si avvertisse all'improvviso un suono stridente. Visconti aveva ambientato "Vecchi tempi" in un ring al centro del palco, immaginando un rapporto lesbico tra le due protagoniste femminili. C'erano anche alcune canzoni accompagnate al piano. Alla trentesima rappresentazione sentii un fischio dal loggione. Era Pinter. Il giorno dopo convocò una conferenza stampa e tolse i diritti. Nel 2004, quando riprendemmo "Vecchi tempi" con la regia di Roberto Andò, venne a vederlo a Milano e questa volta gli piacque anche se era diverso dai suoi allestimenti. Lo avevo avvertito che gli italiani non ridono molto a quel genere di umorismo inglese, invece venne in camerino e mi disse: "Ma non è vero, ridono!". Per fortuna, in quella replica era andata così! Andammo insieme a cena e fu una serata indimenticabile della mia vita. Ponevo domande sul suo testo e mi rispondeva in perfetto stile pinteriano: sapeva di essere spiritoso e si comportava da vero attore. Era misterioso e abituato a non dare certezze, lasciando aperti gli interrogativi come nei suoi copioni. Quando gli chiesi cosa fosse cambiato fra la prima edizione inglese e una newyorkese di vent'anni dopo di "Vecchi tempi", replicò: "Due virgole e una pausa in più". In questa frase c'è il senso del suo teatro e del suo legame con la lingua. Non ho dormito per l'emozione. Stare vicino a una persona simile è il privilegio del mio mestiere e mi fa ringraziare di non aver fatto il bancario a Novara.