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King Murdoch dopo l'occidente punta alla conquista della Cina

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Torna in Australia ed eredita dal padre un piccolo giornale di provincia «The Adelaide News», un foglio pressoché «carbonaro» per la sua magra tiratura. Il futuro magnate dell'informazione porta l'oscura testata al successo nazionale con numeri che sanno di miracolo. Moltiplicare le tirature dei quotidiani via via che li acquista o li controlla, sarà la sua sfida esistenziale. Nel 1969 acquista in Gran Bretagna «Gutter Press» (un titolo che, tradotto, suona come stampa-spazzatura), poi «The Sun» col suo foglio domenicale «News of the World». Il successo è enorme, alla fine degli anni Settanta le due testate vendono, ciascuna, intorno a 4 milioni di copie. I suoi critici (ne ha, e ne ha sempre avuti) affibbiano tanto risultato al chiacchiericcio sulla regina e sul mondo incurabilmente pettegolo dei Vip. Non solo, però. Com'è nella migliore tradizione dell'editoria scandalistica, i giornali di Murdoch sono disseminati di ragazze nude e di ammiccamenti sessuali, il tutto mascherato da un moralismo tanto al chilo. Sia come sia, le due testate, a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, assicurano un enorme seguito popolare all'ascesa di Margaret Thacher al governo del Paese e alle sue politiche di liberalizzazione dell'apparato produttivo e di drastico ridimensionamento della mano pubblica nella gestione dell'economia. L'alta professionalità di Murdoch si sposa a un sistematico corteggiamento dei detentori del potere politico, ai quali garantisce la popolarità delle sue «testate» e delle sue «tirature» in cambio di agevolazioni e appoggi che innaffiano di floridezza il «conto economico» e di robustezza la «situazione patrimoniale» del suo impero multimediatico. L'anglicità conservatrice piace tanto a Murdoch che per qualche tempo si pensa che egli voglia tornare alle sue radici australiane, ridiventando un suddito privilegiato di Sua Maestà britannica. Ma nel 1985 diventa, a sorpresa, cittadino americano. Quella scelta disorienta il mondo che gravita intorno a lui e al suo business, ma non è fantasioso ipotizzare che, conquistato il mercato del Regno Unito, egli senta il richiamo calcolato e calamitante del mercato Usa. Nei primi anni Novanta emerge la potenziale dimensione planetaria del suo Gruppo, che abbraccia ogni aspetto del comunicare e del produrre spettacolo. La «News Corporation Ltd», che è la sua Finanziaria, e che «Forbes» valuta 9 miliardi di dollari, controlla, tra l'altro, il più grosso gruppo editoriale di libri e multimedia al mondo, «Harper Collins», poi la «20th Century Fox», la «Fox News Network», «Tv entertainment» e notizie da tutto il mondo e in molte lingue, compreso l'arabo. Tra i giornali, oltre «Times», «Sun», «News of the World» e «Sunday Time», possiede il «New York Post», secondo giornale newyorkese, cui si è aggiunto l'acquisto per 5 miliardi di dollari, nell'estate del 2007, del «Wall Street Journal», quotidiano autorevole e diffuso in tutto il pianeta. Quasi non basti, gli interessi di Rupert Murdoch si ampliano nello spazio con «Sky» tv satellitare, e dallo spazio in direzione asiatica con l'acquisto di «Star TV»: programmi in inglese e nelle principali lingue indiane. Benché anticomunista, egli, con la rete tv Star, si accinge a conquistare il mercato cinese. Il tentativo è di metter su una rete satellitare globale che accorperebbe Asia, Europa, Nord e Sud America, anche se tecnici qualificati avanzano il rischio di un buco nell'acqua. Essi argomentano, infatti, che Tv via cavo e linee telefoniche ad ampia banda possono relegare l'antenna parabolica fra gli arnesi di una tecnologia superata. Che l'impero dello «squalo» australiano o del «tycoon» che controlla oltre cento giornali sia il portato di una professionalità ricca di talenti è indubbio, il tutto tonificato però dall'intreccio fra managerialità e politica, non foss'altro perché il prodotto che egli fabbrica è troppo ghiotto per l'uomo di governo che gestisca lo strapotere politico. Quasi un interscambio di ruolo fra i due, lui che consolida il suo impero economico-finanziario e l'altro che accresce il tasso di popolarità come leader politico. È eloquente al riguardo un'inchiesta recente del Project for Excellence in Journalism (PEJ) condotta da Mark Jurkowitz per conoscere se e come è cambiata la prima pagina del Wall Street Journal nei primi quattro mesi di gestione Murdoch rispetto al periodo precedente che conta 119 anni di vita del prestigioso quotidiano. Lo spazio dedicato alle elezioni presidenziali è del 4,8% prima di Murdoch e raggiunge il 18% durante la gestione Murdoch; quello destinato al governo passa dal 3,2 al 4,3%; le vicende internazionali che non toccano direttamente gli Usa salgono al 25 con Murdoch rispetto al 18,4% di prima. In conclusione: più che triplicato lo spazio dedicato alla campagna elettorale statunitense, e dell'incremento dei temi politici soffrono le notizie economiche. Oggi Rupert Murdoch è assai più potente di ieri. Può influenzare attraverso il Wall Street Journal (2 milioni di copie vendute al giorno, di cui 80mila in Europa, oltre a 900mila abbonati all'edizione on-line) i mercati finanziari di mezzo mondo, ha giocato un ruolo non secondario nelle presidenziali Usa grazie a Fox TV e «The New York Post». Si è scritto che Berlusconi è un «artigiano» rispetto a Murdoch, ed è vero. Non è un caso che la Sky italiana del magnate australiano abbia goduto di un'Iva ridotta, faccia pubblicità senza un plafond che la limiti, goda di un canone gestito in libertà. Da noi, in Italia, si sente ripetere fino alla noia che esiste il duopolio Rai-Mediaset, due aziende rigidamente regolamentate quanto a pubblicità, senza canone Mediaset, e con un canone taccagno la Rai. Non ricordo il titolo di quel film in cui un padrone di giornali e telecomunicazioni crea una serie di incidenti per scatenare le superpotenze una contro l'altra. Arriva il solito 007 che sconfigge il tycoon che ha base in Germania, salvando così il mondo. Viene da chiedersi chi salverà la libertà d'informazione sul pianeta nostro contro la potenza planetaria di Murdoch? La globalizzazione dell'economia non ha regole né leggi perché non si sa chi e come debba dargliele. Donde la devastante crisi economica in cui il pianeta si è cacciato, o lo hanno cacciato. Mi viene in mente una frase celeberrima di Giulio Andreotti: «Il potere logora chi non lo ha».

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