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L'ossessione dei soldi? Stavolta parla un poeta

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In questa generale, occidentale e mondiale conversazione sul denaro, che vede impegnati banchieri e barbieri, primi ministri e prime donne, consiglieri fraudolenti e onesti imprenditori, ognuno ha diritto di dire la propria. E dalle persone viene fuori spesso il peggio, qualche volta il meglio nel difendere il proprio punto di vista, di solito collegato al proprio interesse. Sentiamo crescere intorno a noi questa gassosa chiacchierata sui quattrini, che corre per conferenze, per uffici segreti, per tavolini di bar, fermate degli autobus, tavoli di cucina e che, con accenti di ansia giustificata o di snobismo ammorba il genere umano. È naturale: prima o poi l'idolo presenta il conto, e da onnipotente ed eterno che sembrava, si mostra stupido e vile. Anche i suoi sacerdoti e profeti risultano ora ridicoli, e seppure parecchi tra loro osservino con occhio bovino il proprio fallimento da saloni foderati di specchi e dal rifugio sicuro di gruzzoloni accantonati, non per questo è meno patetico il finale della loro uscita di scena. Si dice che soldi e poesia non marcino bene insieme. E che i poeti siano inesperti di denaro. Sicuro? O sono i più esperti? "Carmina non dant panem", "il poeta è un pitocco" etc etc, le citazioni proverbiali si sprecano. Ed è vero che i poeti nomadi antichi, l'esule Dante, e gli sradicati poeti moderni alla Baudelaire & co. non hanno mai cantato lodi alla propria agiatezza, ma lamenti sulla fatica di campare. E vergato lettere piene di richieste di crediti e di dilazioni. Il grandioso tema della Fortuna - a cui i poeti umanistici diedero impulso - si realizza, a volte anche degradando, nel tema della scarogna, della penuria, dell'incomprensione taccagna di parenti, affittuari, editori e giornali. Non mancano eccezioni. E però sembra fuori luogo che il poeta parli di soldi. Tutti, ma non lui. Eppure non sono mancati grandi autori di versi che hanno guardato al mondo economico con interesse e passione, se non con competenza. Molto discusse le teorie economiche di Ezra Pound - che in fondo vedeva i limiti del capitalismo usuraio e usurante, e sperava nel corporativismo all'italiana. Pagò con l'internamento. Ma anche il suo discepolo T.S. Eliot, forse il maggior poeta del '900, dedica versi e riflessioni al tema della sicurezza economica (in "La terra desolata" e "I cori da La Rocca"). E un grande poeta e pensatore francese, Charles Péguy, morto nel 1914, oltre a riflettere su speranza, lavoro, carità, scrisse un'opera ritenuta oggi capitale per comprendere la modernità, dal titolo: L'Argent. Qui sotto presentiamo lo spicchio finale della poesia quasi narrativa di un grande contemporaneo, l'australiano Les Murray. Ritrae quasi una metafora della nostra situazione presente: il vincitore di una gran lotteria che resta infine "annerito con la sua ricchezza", e preso "in un filo col quale l'umanità è controllata". Racconta che nella zona dove quel tizio abitava prima arrivava solo un sacco di posta. Ora solo lui ne riceve uno grande e grosso ogni giorno. Dopo aver lasciato che i sacchi "s'accumulassero/ in cucina lungo le pareti di assi e sulle sedie", un giorno inizia a leggere, e si trova davanti una gamma di ogni genere di proposta, di supplica, di invenzione e di maledizioni, da parte di vecchi amici, ammalati, amichette di un tempo, questuanti e adulatori. E' affascinato, e mentre brucia le lettere non può non leggere ognuno dei foglietti di questa umanità che "nemmeno la guerra gli aveva rivelato".  

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