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Maurizio Gallo [email protected] Il mestiere del cronista ...

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E le differenze sono anche altre, come la necessità di estrema sintesi del quotidiano contrapposta ai tempi spesso estremamente dilatati del racconto. È raro, quindi, che un giornalista si trasformi in romanziere. Nel caso di Massimo Lugli, inviato di Repubblica ed esperto di «nera» (oltre che di arti marziali) la metamorfosi è perfettamente riuscita. Che avesse la stoffa del novellista, Lugli lo aveva dimostrato con il suo primo lavoro di fantasia, «La legge di Lupo solitario». Un personaggio calato nella realtà sordida della metropoli che si muoveva con passi felpati sulla superficie e strisciava come un serpente nei suoi sotterranei, un po' criminale, un po' giustiziere, un po' emarginato e un po' bohemienne. Ora l'ha confermato con «L'istinto del Lupo» (Vertigo-black della Newton Compton; 334 pagine; 9,90 euro). Come accade per i supereroi dei fumetti, dopo l'esordio che ci ha mostrato un Lupo in azione e già adulto, la seconda «puntata» di questa serie noir ambientata nel mondo degli ultimi risale alle origini. E ci spiega perché e come Lupo è diventato tale. Infatti, la «belva» metropolitana era un marmocchio di buona famiglia, tanto da meritarsi il nome ultra-aristocratico di Lapo. I maltrattamenti di un gruppo di bulli a scuola, la separazione dei genitori preceduta da lunghi e dannosi litigi e gli inevitabili vuoti d'affetto non bastano a spiegare la scelta del protagonista, che da bravo ragazzo alto-borghese si trasforma improvvisamente in un barbone. Complice l'incontro con un «guru» degli homeless, Tamoa, un uomo che nasconde fra le pieghe dei suoi stracci un passato avventuroso e misterioso. Lupo diventa un vero esempio di clochard, termine abusato puntualmente dai giornalisti ma perfettamente calzante al nostro caso, sebbene nessuno decida volontariamente e senza motivo di dormire sul marciapiede e cibarsi di rifiuti. «L'essenza della vita da strada era proprio lì e ormai mi aveva agganciato in pieno - riflette durante il suo vagabondaggio - nessun impegno, nessun appuntamento, nessun senso di colpa. Niente da fare se non soddisfare i bisogni elementari: cibo e riparo». Una situazione spesso invidiata dai «normali». «L'istinto del Lupo» è un libro che scorre veloce sotto agli occhi, scandito da un susseguirsi di colpi di scena e da pennellate di amara poesia metropolitana che dipinge a tinte crude ed essenziali il pianeta dell'emarginazione. L'istinto del romanziere, questa volta, ha vinto su quello del cronista.

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