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Mussolini, autarchico narcisista Una posa lunga tutta una vita

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Sì, perché già nel 1922, a Cremona, Mussolini tenne un suo discorso dal predellino di un'auto scoperta, in mezzo a trentamila fascisti. Nel '41, invece, convocò i fotografi a Villa Torlonia per farsi immortalare, polo e calzoncini bianchi, mentre giocava a tennis con il suo allenatore, l'ex campione del mondo di calcio Eraldo Monzeglio, per smentire un'ulcera. Il duce come non si è mai visto o addirittura inedito si può scoprire in «Dux. Benito Mussolini: una biografia per immagini» (Mondadori, 398 pagine, 25 euro) di Pasquale Chessa, vicedirettore di Panorama, in libreria venerdì. Allora direttore, perché un libro fotografico? «È un libro con una precisa vocazione, cioè quella di vedere se sia possibile ricostruire una biografia attraverso le foto ma, anche, fare una biografia delle immagini di Mussolini». Foto come documenti? «Infatti. La fotografia non è mai stata usata come strumento o documento storico e comunque alla stregua dei documenti cartacei. La foto è una novità, come una novità è la costruzione dell'immagine del fascismo. Il totalitarismo si sviluppa insieme alla radio inventata in quegli anni, e alla fotografia che, da forma d'arte diventa forma tecnica». Un fatto utile al fascismo? «Nel momento in cui il fotografo non è più un artista ma un tecnico che prende pezzi della realtà, Mussolini capisce che può sfruttare questo strumento diventandone, al contempo, regista e attore». Il Duce, cioè, capisce il valore dell'immagine? «Direi di no nel senso valoriale, perché secondo me Mussolini non capiva quello che faceva, ma si rese conto di poter sfruttare qualcosa. Come dire, non inventa il mito del duce però ci crede più di tutti. La fotografia diventa il miglior strumento di propaganda, perché più vicina alla realtà. Fino al 1929 non era stato così: i suoi fans erano dei fanatici e lui pensava di essere e si comportava come una star, si atteggiava ad attore, si metteva in posa». Un vero istrione... «Certo, perché Mussolini è un artista della posa. Inoltre è talmente astuto da farsi immortalare soltanto con la moglie e mai con le altre donne e amanti, dalla Sarfatti alla Petacci». E che rapporto aveva con i fotografi? «Dopo la nascita del ministero della Propaganda e la straordinaria mostra della rivoluzione fascista, nel decennale, l'immagine del fascismo è completata e il duce è abituato alla presenza dei fotografi, ne è sempre circondato. Anzi, stabilisce un rapporto di complicità e reciproca sudditanza, diventando il loro oggetto e il loro attore, costringendoli, però, a scattare continuamente». Ma ci sarà pure qualche foto «rubata»? «Almeno tre. Una viene dall'archivio di Valentino Orsolini Cencelli, pioniere della Bonifica delle Paludi Pontine, che sulla spiaggia di Sabaudia immortala Mussolini mentre fa un solenne cicchetto al ras e ministro dell'Agricoltura Giacomo Acerbo. L'altra in Grecia, mentre su un'altura con le mani in tasca assiste al fallimento dell'attacco italiano all'esercito greco. E poi quella in cui si tappa il naso, mai pubblicata in Italia e ritrovata negli archivi del NY Times». Ma le foto del duce sono anche l'album di famiglia dell'Italia? «Il sistema simbolico che Mussolini riesce a costruire non corrisponde al sistema reale. Mussolini stesso scambia i labari con le baionette e porta l'Italia ad una guerra che distruggerà un Paese, politicamente e militarmente». Dove ha trovato tanto materiale? «Negli archivi dell'Agenzia Italia ho scoperto e consultato quasi 16 mila negativi, dal '29 al '44, completi di didascalie. Un lavoro iconografico realizzato da quello che oggi diremmo il fotografo ufficiale, tale Vitullo, sconosciuto ai più. Molte nell'archivio del Times magazine di New York, dove c'era un mercato, almeno fino al '38, perché Mussolini agli americani piaceva molto». In posa con gli occhioni sgranati in braccio alla mamma, con gli stessi occhi sbarrati nell'ultima foto di piazzale Loreto: il flash apre e chiude la vita del duce? «Direi di sì, nasce e muore in posa». Direttore, la sua biografia per immagini offre una nuova lettura del fascismo come messa in scena del potere e, attraverso il narcisismo politico del duce, sembra retrodatare l'attuale politica-spettacolo. Mussolini ricorda qualcuno? «Uno storico serio non fa paragoni - conclude Pasquale Chessa - sono proibiti per legge, quindi nessuna similitudine, ma un giochino si può fare: guardando Mussolini che gioca a tennis o sul predellino, ci si rende conto come ci sia un'attitudine personale...Nessun paragone, ma Berlusconi se la cerca....».  

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