L'ospite inatteso, una storia che colpisce nel segno

L'OSPITE INATTESO, di Tom McCarthy, con Richard Jenkins, Hiam Abbass, Haaz Sleiman, Danai Gurira, Stati Uniti, 2008. In polemica con quelle, Tom McCarthy che ci aveva dato un bellissimo film, "The Station Agent" anche quello a sostegno di diversi - un gobbo, degli emarginati - ci dice oggi di un docente universitario del Connecticut che, tornato per motivi di lavoro in un appartamento di sua proprietà a New York, lo trova occupato da una coppia formata da un giovane siriano e da un'africana. Sulle prime reagisce con durezza constatando però l'onestà e la serietà degli intrusi li ospita senza riserve facendosi coinvolgere dalla passione che il siriano nutre per la musica. Anzi imparando presto da lui come suonare il tamburo. Ma il suo ospite è un immigrato clandestino, la polizia interviene e prima lo rinchiude in una specie di prigione, poi, dopo pochi giorni, lo espelle. Invano il professore, insieme con la madre di lui, anch'essa immigrata, cerca in tutti i modi di aiutarlo, potrà solo accompagnare la donna in aeroporto dato che ha deciso di raggiungere il figlio in Siria da cui neanche lei ormai potrà più ritornare. Un approccio polemico, certo, con una forte, indignata perorazione del docente di fronte ai poliziotti del carcere dov'era stato rinchiuso il siriano. Tutto il resto, però, è svolto con modi addirittura quieti, in cifre di cronaca minuta, seguendo con delicatezza le vicende di tutti e tracciando con meditata misura le varie fisionomie, non solo, quella del professore, senza più passione per il proprio lavoro e riportato invece a nuova fiducia dell'incontro con i suoi ospiti e con quella musica sul tamburo imparata dal giovane, ma quella della madre di quest'ultimo, con tratti fini, e poi quelle dei due, colorite solo quel tanto che ci voleva per segnalarle. Un linguaggio nitido e quasi lineare: immagini raccolte, luci ovattate, climi, ad eccezione dell'unica esplosione forte, sempre sommessi e quasi trattenuti. Cui corrisponde, in tutti gli interpreti, una recitazione tenuta sempre su corde intime, specie quella del professore, disegnata da Richard Jenkins con profondità e rigore. E così quella della madre del giovane, ricreata con sensibilità dalla palestinese Hiam Abbass, già vista e apprezzata ne "La sposa siriana". Una mimica in grado di esprimere con eloquenza anche i silenzi.