STELLA, di Sylvie Verheyde, con Léora Barbara, Karole ...
Va a scuola, invece, in un quartiere borghese tra gente di una classe superiore alla sua. Le compagne non rivelano la differenza, lei invece all'inizio si sente abbastanza spaesata, tanto che non profitta negli studi e ogni giorno verifica che i suoi gusti, e anche i suoi modi, sono piuttosto diversi da quelli con cui adesso è venuta a contatto. Diventata però presto amica di una coetanea, figlia di uno psichiatra e, frequentandola, impara a leggere libri seri e ad ascoltare buona musica, fino a quel momento a lei del tutto estranei. Migliora anche nello studio e alla fine dell'anno scolastico riuscirà persino ad essere promossa, contro ogni aspettativa iniziale... Dall'infanzia all'adolescenza. In attesa di spiccare i primi voli. Un itinerario sottile rievocato, con accenti scopertamente autobiografici, da una regista qui da noi poco nota, Sylvie Varheyde, ma con doti sicure. Intanto nella descrizione di quei due ambienti quasi all'opposto uno dall'altro, il caffé operaio e la scuola borghese, poi l'occhio con cui la piccola protagonista vi guarda commentandoli con una voce che, narrando, ricorda. Senza retorica, senza sentimentalismi, con la grazia dell'innocenza e del candore anche quando deve dirci di una crisi esplosa fra i suoi genitori e quando rappresenta, quasi di sfuggita, il tentativo di un pedofilo che abita nell'albergo. Il testo e la regia di Sylvie Verheyde, guidati da questa voce narrante, affidano tutto a tocchi leggeri di cronaca, evocando cornici familiari su cui, a far data (siamo negli anni Settanta) echeggiano musiche e canzoni d'epoca, non accettando mai toni alti, nemmeno nelle dispute fra operai nel caffé e negli scontri fra il padre e la madre, privilegiando solo atmosfere raccolte e quasi sospese: come, appunto, può evocarle una fragile undicenne. La interpreta una bambina nota finora in Francia solo per un piccolo ruolo in televisione, Léora Barbara: un faccino che coinvolge. In cifre di quiete e di misura.