Ritorno al futurismo

L'occasione è il centenario del Manifesto del Futurismo, l'esplosivo articolo «Le Futurisme» firmato da Marinetti sulla prima pagina di Le Figaro il 29 febbraio 1909. Ma la sventagliata di esposizioni-dibattiti-incontri-pubblicazioni che seguiranno segna una sorta di bilancio sulla «rivoluzione» di Marinetti. Troppo spesso fraintesa, liquidata dai testi di scuola come una coniugazione del fascismo, guardata con sospetto da certi cattolici integralisti, dimidiata a fuoco di paglia. E invece no, la discussione ora si incanala nel giusto verso e si dà al futurismo quello che è del futurismo: il movimento più innovatore della prima metà del Novecento, capace di influenzare anche Picasso, i cubisti. Un «ritorno al futurismo» testimoniato tout court dal record ottenuto di recente da un dipinto di Severini nell'asta londinese di Christie's. La «Danseuse», del 1915, è stata pagata 19 milioni di euro. E poi l'influenza del Futurismo non è solo «visibile», ma anche «invisibile»: nel senso che come teoria, o filosofia dell'arte, entrò impalpabilmente nel fare e nel pensare. Riguardò ogni ambito: poesia, teatro, editoria, réclame, politica. Diversamente dal cubismo, rimasto nel recinto della pittura e della scultura. Le mostre, dunque: al Beaubourg di Parigi è stata da un mese aperta «Un'avanguardia esplosiva», curata da Didier Ottinger. Cento opere italiane, francesi, russe, inglesi. Un limite: espone solo le opere del primo periodo. Dalla Francia passerà, a febbraio, a Roma, alle Scuderie del Quirinale, poi alla Tate Modern di Londra. Da noi tre mostre tre, da gennaio 2009 a gennaio 2010, curate da Ester Coen, nel triangolo Rovereto-Venezia-Milano. Si chiamano «Illuminazioni», «Astrazioni», «Simultaneità». Dimostreranno, con inediti, le relazioni tra Futurismo e la più audace sperimentazione europea.