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Il Novecento è stato definito in tantissimi modi, tutti ...

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I giovani, infatti, ne sono o diventano, nel bene e nel male, protagonisti. (...) Nel cinquantennio, o giù di lì, lungo il quale si sviluppa la vicenda cosiddetta prima repubblica il 1968 rappresenta il momento in cui i giovani fanno la loro ricomparsa sulla scena politica e sociale del paese. (...) Nel 1949 venne costituita la Federazione giovanile dei comunisti italiani (Fgci), la quale accrebbe il numero dei suoi iscritti fino agli anni '60, quando gli iscritti arrivano a duecentomila. (...) I fatti di Ungheria rappresentarono sicuramente un momento di incubazione del malessere giovanile che sarebbe esploso in seguito. Lo si vide già nel luglio 1960 con la discesa in piazza dei ragazzi "dalle magliette a righe": giovani appartenenti ad una generazione che non aveva preso parte alla guerra e alla resistenza e che fino a quel momento era rimasta sullo sfondo.(...) L'impegno civile dei giovani continuò a crescere, come testimonia il contributo dato dagli "angeli del fango" durante l'alluvione di Firenze del 1966. Ma quel vitalismo non sarebbe rimasto nella dimensione civile e avrebbe rapidamente impattato quella politica. (...) Non a caso l'università divenne l'epicentro della protesta giovanile. Dietro alla crisi dell'università si nascondeva una più ampia crisi della cultura, che era sempre più incapace di rivolgersi alla vita spirituale di un paese. Nell'Italia degli anni Sessanta le università, commettendo un errore che oggi sembra ripetersi, avevano smesso di veicolare cultura e si limitavano a fornire conoscenze specialistiche, alimentando una "non-cultura" intollerabile agli occhi di un giovane. La disillusione interessò gli stessi giovani della sinistra comunista, per i quali non si poneva né un formale problema di rottura generazionale (nell'ideologia comunista il problema era di classi e non di generazioni) né una disillusione per una formula di governo dalla quale erano esclusi. La pesante gerarchia del Pci appariva sempre più intollerabile nel suo paternalismo: quando nel 1964 morì Togliatti e gli successe Luigi Longo molti giovani, pur nel grande rispetto verso "l'eroe di Spagna", non potevano non vedere in lui un padre (se non un nonno). (...). Ovviamente la risposta che i giovani diedero a quelle carenze fu, e non poteva essere altrimenti, istintiva e scomposta. Dietro al 1968 non vi è, nonostante i molti riferimenti dottrinari, una base culturale forte. Per dirla con Nicola Matteucci, che di quella stagione fu commentatore critico, "assistiamo a un ennesimo ritorno a Marx, ridotto però, una volta eliminati gli scritti giovanili o "Il Capitale", all'ultima glossa di Feuerbach, alla volontà di cambiare il mondo che, privata di ogni consapevolezza critica porta al mito della violenza". (...) Nel 1968 i giovani si impossessarono di quel mito del progresso che i loro padri avevano sbandierato senza raggiungere risultati significativi. Il "progressismo" divenne uno slogan attraverso cui i giovani marcarono la loro volontà di rottura con il passato salvando, al tempo stesso, quanto di buono gli giungeva dalla tradizione precedente. Su questo terreno non si ritrovarono solo i giovani di sinistra ma anche un crescente numero di giovani cattolici. Come ebbe ad osservare Augusto Del Noce, un altro grande critico della stagione del Sessantotto, in quell'occasione il senso del Cristianesimo smise di essere la salvezza e si trasformò nell'obiettivo, più modesto ma per certi versi più tangibile, della trasformazione della società. (...) Sempre nel 1968 Gioventù Studentesca ruppe con l'Azione Cattolica e nel 1969 nacque, sotto la spinta di don Luigi Giussani, Comunione e Liberazione. Posto di fronte alle sfide del 1968 il sistema politico italiano rispose in modo parziale e insufficiente. I partiti della sinistra sfruttarono quell'esplosione spontanea nel tentativo di diventare i monopolisti della contestazione. Ma se Pci e Psi riuscirono a calamitare un numero crescente di giovani aprendo ai loro temi di interesse (terzomondismo, guerra del Vietnam, lotta alle nuove forme di alienazione), di fatto i partiti, e non solo quelli di sinistra, non riuscirono a comprendere le istanze dei giovani. (...). Il 1977 fu l'annus terribilis per la sinistra italiana, che per la prima volta dovette registrare un fallimento nella sua capacità di rappresentare i giovani: la cacciata di Luciano Lama dalla Sapienza, gli attacchi sempre più diretti a Berlinguer, gli scontri con il servizio d'ordine del Pci mostrarono in modo definitivo che il sistema partitico non riusciva più a rappresentare completamente le aspirazioni dei giovani.Ma se nel mondo della sinistra questa cesura fu lacerante, anche nelle altre famiglie politiche i giovani sperimentarono vie espressive nuove. Sul fronte della destra si pensi, solo per fare un esempio, all'iniziativa dei campi hobbit (il primo venne organizzato a Montesarchio presso Benevento nel 1977). (...). Il richiamo a Tolkien (...) rispose soprattutto all'ansia di trovare nuove vie per chi non si riconosceva nelle religioni politiche cattolica o comunista. Negli anni settanta i partiti, al pari dei sindacati, fallirono nella trasformazione liberale delle proprie strutture, fomentando prima la reazione dei giovani e allontanandoli poi dalla vita politica. Una conferma di questo fallimento si ebbe con l'incapacità delle istituzioni di fronteggiare la crescente conflittualità che caratterizzò la dialettica politica: il terrorismo nacque proprio dall'incapacità del sistema di fornire risposte credibili a quei giovani che alla fine reputarono l'abbattimento del sistema stesso come l'unica via praticabile. Rapidamente "invecchiati" a causa della continua mobilitazione cui per anni vennero sottoposti e impauriti dalla scia di sangue che li precedeva, i giovani abbandonarono progressivamente, nel corso degli anni ottanta, la dimensione politica. Il giovanilismo rimase come mito, ma alla "meglio gioventù" si sostituì una gioventù più edonista e apolitica. In un contesto caratterizzato dal benessere economico e dal consumismo, i giovani degli anni ottanta abbandonarono progressivamente la retorica dell'impegno. Questa disaffezione trasse alimento ulteriore dalla stagione di stagnazione politica che caratterizzò gli anni ottanta. Queste contraddizioni sono state ereditate tutte degli anni novanta, nei quali i giovani sono usciti dalla gabbia dorata del decennio precedente e hanno iniziato a confrontarsi con una situazione economica non più florida e soprattutto con il destrutturarsi di quell'apparato di sicurezza sociale che aveva tutela le generazioni precedenti. Questo ha accresciuto il senso di insicurezza ma anche quello di responsabilità: dietro al popolo dei "co.co.pro" si nasconde una gioventù sicuramente molto più costruttiva di quella precedente. Certamente il peso dei vecchi abiti è ancora forte: spesso dietro all'attivismo barricadero si nasconde, più che l'effettiva sete di giustizia, ma, come si dice, "sono ragazzi".

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