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Arriva "Qualcuno con cui correre"

qualcuno con cui correre

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David Grossman, uno dei più celebrati scrittori Israeliani, nato a Gerusalemme cinquantaquattro anni fa, non ha paura delle parole quando parla della sua terra, con la voce calma, ma sempre piena di emozione.«Questo rifiuto è una castrazione causata dal "politicamente corretto". Ma non possiamo pensare di arrivare alla pace se non riconosciamo che c'è la guerra. E tutti noi abbiamo il dovere di lavorare per la pace». La pellicola "Qualcuno con cui correre" affronta una tematica attuale. Parla di giovani, musica e droga. Signor David Grossman, il suo libro «Qualcuno con cui correre» è ora un film, ci racconti come è andata. «Quando scrivo un libro e qualcuno mi chiede di farne un film... cerco di dissuaderlo. Ma quando il regista Oded Davidoff ha iniziato a descrivermi il processo di trasposizione mi sono arreso. Di solito quando uno scrittore consegna un libro ad un regista ci sono dolore, imbarazzo. Con Oded no. Mi ha restituito il libro così come glielo ho dato. Forse migliorato». La sua è una Gerusalemme molto speciale... «Ho avuto reazioni di sorpresa, specialmente quando il libro è stato tradotto. Ma quella che si vede in tv non è la città vera, la gente ha bisogno della Gerusalemme divina e abitualmente i media fanno vedere sempre le stesse cinque o sei immagini. Ma Gerusalemme è una città normale, che poi normale non è, ed è anche una fogna, sporca, con i senzatetto, i drogati». Quella raccontata è una storia vera o...? «Me lo domandano spesso, quando scrivo un libro. E rispondo: se volete che quello che racconto esista veramente, allora esiste». Il cinema israeliano, oggi, riflette la realtà? «C'è una nuova condizione dell'industria cinematografica israeliana che sta facendo grandi passi avanti. È un processo avviato ormai da quindici anni. Il cinema non ingigantisce, non cambia, sta... guardando la vita negli occhi, mostra il conflitto all'interno di Israele. Il cinema è un ponte di identità. Sta rispettando la realtà, è meno drammatico e meno sentimentale. Fa quello che la letteratura israeliana ha fatto trent'anni fa». È questa la funzione dell'arte? «Mostrare la dimensione e la parte più scomoda della realtà: questa è la vera funzione dell'arte. Israele è da anni intrappolata in una guerra, ma non si può raccontare solo una verità. Ci sono altri punti di vista, altri momenti critici, altri punti di rottura da guardare: solo così si possono trovare le soluzioni. Il cinema, oggi, soprattutto il documentario, è la forma più avanzata di discussione».

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