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4 novembre, questo misconosciuto

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Queste due retoriche speculari portano all'amnesia, alla rimozione. A tal punto, che si esalta unilateralmente il 25 aprile (la Liberazione), il 2 giugno (la Repubblica), e si tende ad ignorare il 4 novembre. Invece, va detto, tale data è una festa che unisce, mentre le altre due dividono. E non per riesumare le anticaglie di una storiografia sbagliata e faziosa. È scontato, infatti, che il 25 aprile significò la fine della dittatura e dell'oppressione-occupazione nazista; è scontato che il 2 giugno il popolo italiano scelse l'attuale ordinamento costituzionale; ma si trattò di passaggi dolorosi, di fasi convulse che spaccarono l'Italia. Nel primo caso un'Italia fascista in errore e una Italia anti-fascista nel giusto (i segni luttuosi di quella che fu una guerra civile, che anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha ammesso e che il film tratto dal libro di Pansa, «Il sangue dei vinti», ricorda molto bene). Nel secondo caso (il referendum sulla forma istituzionale), la divisione tra un centro-nord repubblicano e un centro-sud fedele ai Savoia (e questo senza riprendere la fiorente letteratura, circa i brogli elettorali, questione mai chiusa). Date basilari, quindi, ma fotografia di una nazione allora "interrotta". Mentre il 4 novembre celebra l'unità nazionale nella sua pienezza. E non perché esalta una vittoria su un'altra nazione, o la guerra (fu una carneficina); perché festeggia il compimento, la conclusione del processo risorgimentale unitario: il nostro riscatto, la nostra capacità, dopo Caporetto, di risollevarci come popolo. Quello scatto di reni di cui c'è grande bisogno pure oggi, di fronte alle tante Caporetto politiche, economiche, sociali che viviamo. Quattro novembre da attualizzare, inserendola nel contesto della memoria condivisa, dei valori comuni, della pacificazione nazionale, elementi indispensabili per costruire davvero la nuova Repubblica degli italiani e avviare la stagione delle riforme. Una pacificazione ancora difficile, se si giudica dalle polemiche che ha suscitato, ad esempio, il film dal libro di Pansa, escluso a Venezia e fuori concorso a Roma, e se si giudica dalla tracotanza di estremismi mai tramontati, e di "professionisti dell'ideologia della storia" all'opera, da destra a sinistra, che vorrebbero cancellare il Risorgimento, nel segno delle nostalgie pre-unitarie o di improponibili tesi neo-post-leghiste, o di «altre Italie» (repubblicane, socialiste) che non ci furono. È con questo spirito, la riscoperta di festività civili, per il passato, ma soprattutto per il futuro, che va salutata l'iniziativa della presidenza della Camera («4 novembre 1918-2008: la grande guerra nella memoria italiana»), prima di una lunga serie, in vista del Giubileo della patria del 2011, a cui partecipano studiosi di formazione liberale, cattolica, riformista, socialista (Ernesto Galli della Loggia, Edomondo Berselli, Piero Melograni, Francesco Perfetti, Lorenzo Ornaghi, Carlo Jean, Alberto Monticone, Valerio Castronuovo). Non a caso il presidente Gianfranco Fini, nel titolare il convegno, ha voluto collegare il 1918 al 2008. È l'ora di una nuova unità morale e civile e di un "patriottismo dinamico" che veda l'italianità come collante interno ed esterno. Lasciando indietro i tanti, troppi tifosi di Caporetto.

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