Dalla città di Manaus, in Amazzonia, il mio interlocutore, è ...
«Fino a 200 anni fa era un enorme lago, così come i gesuiti la disegnarono, e come l'antropologo italiano, Ettore Biocca, lo ha riportato nei suoi libri di ricerca presso gli indios da quelle parti; il seguito il lago si è prosciugato. I geologi e i biologi hanno confermato il tutto. Questo svela il mistero che rimaneva sulla via dell'Eldorado". Per cinquant'anni Miguel ha percorso in lungo e in largo il Brasile a Nord del Rio delle Amazzoni. Poi, come per incanto, ha ricostruito il mosaico all'interno della foresta selvaggia localizzando i suoi percorsi di studioso delle tribù degli indios. Facendo una mappa geografica delle sue esplorazioni e rilevando fotograficamente i tracciati ha dimostrato che a partire dalla Colombia, dall'Ecuador e dal Perù gli antichi abitanti di questi paesi si sono spostati per migliaia di chilometri nella foresta fino alle montagne che sovrastano l'attuale Boavista. Ogni 20 chilometri c'è una pietra miliare inca, un masso nero con una iscrizione circolare sopra. Questo incredibile sentiero occulto nella foresta però scompare sulle rive dell'antico lago. "La scoperta che il lago si è disseccato mi ha permesso - continua Jackson - di ipotizzare quella che poi è la verità. Un amico che guida piccoli aerei da turismo mi ha segnalato tempo fa di aver avvistato sul picco di una montagna che sovrasta l'antico lago di Boavista i resti di una antica città con mura in pietra, simili a quelli di Machu Picchu in Perù». Contattato il pilota - che conferma il tutto - un elicottero viene gentilmente concesso da un appassionato locale. Si parte così a mezzogiorno, abbiamo cinque ore di luce. Due ore di volo ed eccoci. Dal ciglio dello strapiombo, evidenti le mura di ordinate pietre nere, il resto è divorato dalla foresta, fittissima. Atterriamo su una radura. L'arzillo esploratore è come ringiovanito di 20 anni. Con il suo accompagnatore indio, badili in spalla, si dirige verso l'interno. Io, il pilota e altri due amici indios ci aggiriamo circospetti: serpenti, scorpioni, sanguisughe, sabbie mobili sono di casa qui. L'emozione aumenta quando mi avvicino a Tatuk, il mio giovane amico che già scava a ridosso di un muro di pietre accatastate meticolosamente. Altrettanto fanno gli altri. Un grido di gioia di Miguel Jackson, è come un bambino quando mi porge quello che raffigura una farfalla, proprio come quella degli incas. Una formidabile conferma per le teorie dell'esploratore cileno. La città perduta era il capolinea del lungo tragitto, e qui si lavorava l'oro delle miniere, ancora oggi sfruttate nei dintorni da ogni tipo di fauna umana: un vero far west, con tanto di paramilitari, del Funai che, a volte, invece di proteggere gli indios, gli sparano addosso per permettere l'attività dei cercatori e poi taglieggiarli. Ad un certo punto un "toc", il badile del mio amico tocca qualcosa di duro. Appare un frammento di quarzo che brilla alla luce del sole. Mi precipito a togliere la terra ed ecco la meraviglia: intatto un teschio di cristallo. Pesa almeno tre chili. Siamo tutti sgomenti. Ripulito è perfetto nella lavorazione anche se il quarzo non è limpido. Tornato a Rio de Janeiro con il teschio, l'ho portato alla Biblioteca Nazionale, gli studiosi della storia dell'Amazzonia lo hanno fotografato e schedato, poi me l'hanno affidato per compararlo con quelli di Londra (British Museum) e quello di Parigi (Museo di Quai Branly). In Brasile sono venuto a conoscenza della lunga marcia degli altri 12 teschi di cristallo esistenti. Da uno studio effettuato nel 1970 da ricercatori della Hewlett-Packard, laboratori all'eccellenza per la ricerca sui cristalli, su almeno uno di questi teschi (il Mitchell-Hedges), risulta che non furono utilizzati strumenti di metallo o pietre o di legno per scolpirlo. Gli scienziati affermarono alla fine della analisi che il teschio sembrava essere stato scolpito con un moderno laser. In passato, intorno al teschio inglese si erano catalizzati racconti folkloristici che suggerivano che il teschio si muovesse all'interno della teca. Altri teschi furono analizzati insieme a quello del British, tra cui quello di Nocerino e quelli americani. Nessuno ha mai potuto provare nulla in merito in quanto le prove tradizionali di datazione non sono valide per il cristallo e nessuno al mondo riesce a farne uno uguale ai dodici oggi. C'è ne abbastanza per fare un bel documentario alla televisione.