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Big Luciano: "Sono diventato re con il do di petto"

Luciano Pavarotti

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Raccontami, quando ha avuto inizio la tua professione di cantante? «Il 29 aprile del 1961, esattamente quarant'anni fa, ho incominciato la mia professione. A Reggio Emilia, come vincitore di un concorso di canto, ho debuttato con La Bohème. Eravamo tutti giovani, abbiamo provato l'opera per trenta, quaranta giorni, cosicché abbiamo avuto il tempo di "entrare" nei personaggi. Alloggiavamo in un albergo di seconda categoria». Quando è iniziata la tua passione per il canto? «La passione per il canto in casa mia era obbligatoria, mio padre era un tenore, portava a casa i dischi di tutti i grandi tenori, io li ascoltavo con grande piacere». I nove do di petto de La figlia del reggimento sono stati una tua «scoperta»? «I nove do di petto de La figlia del reggimento non erano mai stati fatti prima in voce da un tenore lirico, per cui hanno scioccato. Hanno scioccato per prime le orchestre che suonavano l'opera, che l'avevano sempre fatta con dei tenori con una voce piccola che cantavano in falsetto e poi hanno scioccato il mondo, che quando sente nove do di petto si esalta! La Decca addirittura ha realizzato un disco del Re del do di petto. Io sono un cantante di grazia, che ha cominciato con Bellini, Donizetti e Rossini, Verdi e Puccini. I nove do di petto sono un qualcosa di atletico che mi ha fatto pubblicità». Cosa puoi raccontarmi del tuo incontro con il Metropolitan? «Il mio incontro con il Metropolitan non è stato uno dei più festosi direi. Sono arrivato a cantare lì che avevo la Hong Kong flu, una influenza che mi ha tenuto lontano poi dal palcoscenico per quattro mesi. Non stavo bene e ho cantato la prima così e così, ma durante la seconda, a metà della romanza, smisi di cantare perché non potevo più andare avanti. Sono stato fermo quattro mesi perché questa Hong Kong flu non si decideva ad abbandonarmi. Si era affezionata». Ci sono mai stati momenti in cui hai pensato di smettere di cantare? «Di smettere di cantare io ci ho sempre pensato, non dico quando ero ai primissimi anni, ma dopo vent'anni di carriera ho davvero pensato di smettere. Quando? Non mi sono mai risposto». Mi parli del tuo rapporto con la televisione? «Io credo di aver capito molto bene la televisione e l'ho amata subito. Mi ricordo che nel 1976 ad esempio facemmo la prima recita de La Bohème al Metropolitan, con la Scotto. Il giorno prima della recita io camminavo per la strada e nessuno mi diceva niente: non mi riconoscevano. Il giorno successivo alla rappresentazione tutti mi applaudivano per la strada: fu allora che capii cosa voleva dire la televisione. L'ho usata e mi ha usato e così ci siamo innamorati». Perché non ricordare qualche episodio singolare della tua carriera? «All'apertura della Tosca di Parigi. Spesso ci si sogna in situazioni bizzarre, a me succede di sognare di trovarmi nel mio camerino e che l'orchestra comincia a suonare mentre sono ancora in mutande beh, nella realtà non succede mai. Quella sera invece è proprio accaduto! Si provava sempre alle otto di sera e quel giorno nessuno mi aveva avvertito che la rappresentazione sarebbe iniziata alle sette e mezza. Il sipario si è chiuso e si è riaperto e di tutta fretta ho fatto la mia entrata». Ma è vero che ti hanno rifiutato ad alcuni concorsi appena iniziata la carriera, nel 1958-1959? «Avevo già passato dei concorsi di canto, prima di vincere quello di Reggio Emilia. In una maniera o nell'altra sono sempre stato bocciato: o arrivavo quinto quando c'erano quattro borse di studio, o addirittura non entravo neanche in semifinale».

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