Pablo Picasso: una magia infinita che vola oltre lo spazio e il tempo
Lo si vede bene nel magnifico incipit della mostra «Picasso 1917-1937. L'Arlecchino dell'arte» inaugurata ieri nel Complesso del Vittoriano e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia: l'una di fronte all'altra stanno, diversissime eppur dialoganti, due opere del 1917, realizzate a distanza di pochi mesi ma con quale vertiginoso mutamento di linguaggio! «L'italiana», che eccezionalmente torna nel nostro Paese dopo novant'anni, è un vivace capriccio cubista con i colori della bandiera italiana e di quella francese mentre dallo sfondo occhieggia il cupolone di San Pietro. L'«Arlecchino», invece, dipinto nell'autunno del '17 a Barcellona, richiama la tradizione rinascimentale con una forte riflessione classica. Come ci dice l'autorevole curatore della mostra Yve-Alain Bois, «a partire dal soggiorno romano del 1917 e per tutto il ventennio successivo Picasso non scarta più nulla, inventando stili sempre nuovi senza mai eliminare quelli precedenti. E così non gli sembrerà affatto strano dipingere, nell'arco dello stesso mese o persino nello stesso giorno, un Arlecchino "neoclassico" e una versione cubista o magari surrealista dello stesso personaggio teatrale». Tale metamorfosi continua e irrefrenabile è ben evidente nella carrellata di 180 opere fra quadri, lavori su carta e sculture che fanno di questa mostra la più bella e sorprendente fra quelle finora presentate al Vittoriano. Un trasformismo capace di sfornare mille giochi di prestigio pittorici e che ebbe inizio a Roma, dove Picasso giunse il 17 febbraio del 1917 in compagnia dell'amico Jean Cocteau, entrambi attesi da Sergeij Diaghilev, l'impresario dei mitici Balletti Russi. Con la certezza di un lauto onorario Picasso disegnerà scenografie e costumi per lo spettacolo «Parade», il primo balletto cubista, poi messo in scena a Parigi nel maggio dello stesso anno con un clamoroso insuccesso. Restando a Roma per dieci settimane, senza risparmiarsi tutte le seduzioni di un'intensa vita artistico-mondana, Picasso capì che la storia e la tradizione non erano una pura e semplice successione evolutiva di momenti separati ma che erano mescolate agli imprevisti e ai mille mutamenti della vita quotidiana. Per continuare a vivere la pittura doveva continuare a rinnovarsi senza sosta, a cambiar maschera per essere inafferrabile. Ecco allora convivere con pari dignità e nell'arco di pochi anni la monumentalità classica e scultorea della «Donna che legge» del '20 col brioso cubismo dell'«Arlecchino musicista» (1924). E come supporre che siano state dipinte dallo stesso artista le castigate «Figure geometriche beige e grigie» del '28 e la sconvolgente «Testa di cavallo» del '38? Solo l'illusionista Picasso, onnivoro e molteplice, ne è stato capace.