«Partecipare, una sfida e un'opportunità»
È la storia, scritta dallo stesso Manfredonia con Fabio Bonifacci, di una cooperativa sociale di malati mentali dimessi dai manicomi chiusi dalla legge Basaglia. Ambientato negli anni Ottanta «Si può fare» è dedicato alla speranza; viene presentato fuori concorso nella sezione «Anteprima» ed uscirà nelle sale il 31 ottobre. Giulio Manfredonia, quanto è importante partecipare al Festival Internazionale del Film di Roma? «Francamente... non lo so, è la prima volta che partecipo ad un festival così famoso. Vedrò un po' come vanno le cose, comunque sono molto felice di esserci, credo che sia gratificante prendere parte ad una kermesse tanto prestigiosa. Credo anche che sia una sfida, perché il film viene messo sotto una lente d'ingrandimento, sotto gli occhi di tutti. È comunque un'occasione per apparire, penso che al film possa fare molto bene». Di cosa parla «Si può fare»? «È una commedia, l'avventura di una cooperativa sociale, di una di quelle che nacquero per far fare qualcosa alle persone che uscivano dai manicomi, luoghi orribili di detenzione. Sarà anche l'occasione di parlare di questo argomento, di aprire un dibattito». Un tema drammatico, raccontato in forma di commedia, come le è venuta l'idea? «La commedia è il mio modo di raccontare, è la mia cifra, questo film è stato scritto così, da me e Fabio Bonifacci. Il film nasce come una commedia perché è proprio nelle realtà più dure, con persone che hanno gravi difficoltà che è possibile trovare una eccezionale energia, tanta vitalità. Anche un altro famosissimo film su un tema analogo, "Qualcuno volò sul nido del cuculo", pur raccontando una storia fortemente drammatica aveva momenti leggeri. È un modo per avvicinare storie importanti al pubblico, dandogli il tono della commedia. E in questo sta la grandezza del cinema italiano del passato: sapevamo raccontare con leggerezza la nostra realtà, il nostro è stato il cinema più coraggioso del mondo». E oggi? «Credo che ci sia una grande rinascita del nostro cinema. I registi di casa nostra, quelli della mia generazione come Garrone, Vicari e anche lo stesso Sorrentino sanno essere coraggiosi negli argomenti e caldi nelle forme». Per la regia chi è il suo punto di riferimento? «Il mio maestro è Luigi Comencini, era mio zio, girando un altro mio film, "Se fossi in te", anni fa, continuavo a pensare a "Pinocchio"». Lei ha fatto anche tanta tv... meglio il piccolo o il grande schermo? «Non credo che ci sia una grande differenza, quello che conta è il raccontare, è la storia che guida il mezzo. Comunque il cinema è sempre una grande emozione: la sala buia, tutti in silenzio... il grande schermo non si batte».