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Spike Lee, regista di colore del film «Miracolo a ...

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«Se questo film crea discussione è positivo - ha detto Lee ieri a Roma -. Ci sono diverse interpretazioni di quella strage, ma una cosa è certa ed è quella che racconto: la 16esima divisione delle Ss il 12 agosto del 1944 uccise a Stazzema 560 civili. Sono dispiaciuto di aver offeso i partigiani, ma non ho alcuna intenzione di chiedere scusa a nessuno. I partigiani non erano amati da tutti, c'erano anche quelli che dopo aver fatto qualche azione scappavano sulle montagne, lasciando la popolazione civile a subirne le conseguenze. È stato un po' così anche per noi americani di colore per la difesa dei Diritti civili. Oggi tutti in Italia si dicono partigiani, ma allora non era affatto così». «Meglio comunque che si discuta di questo, che del Grande Fratello», ha aggiunto James McBride, scrittore del libro da cui è tratto il film. La storia, che inizia a New York negli anni '80 per poi passare nell'Italia degli anni '40, cerca, tra l'altro, di fare giustizia sulla partecipazione di soldati di colore nella seconda Guerra Mondiale. Emerge così il racconto, parzialmente vero, di 4 soldati neri americani della 92esima divisione Buffalo Soldiers che rimangono bloccati in un piccolo paese al di là delle linee nemiche, separati dal resto dell'esercito, dopo che uno di loro ha rischiato la vita per trarre in salvo un bambino italiano. I soldati di colore, nonostante le difficoltà della lingua, riscoprono un'inedita solidarietà con la popolazione italiana, ma si ritrovano anche ad avere a che fare con i partigiani, sullo sfondo di quella strage di Stazzema provocata per rappresaglia proprio da un attacco partigiano a una pattuglia di SS. Tra gli italiani nel cast del film (prodotto per l'Italia da Cicutto, Luigi Musini e Rai Cinema) anche Valentina Cervi e Pierfrancesco Favino nel ruolo di un partigiano. «In questo nostro Paese non c'è stata ancora pacificazione, siamo divisi a metà anche nel voto proprio come ai tempi di Dante. La cosa bizzarra è che di questa storia si sa davvero poco e che il processo c'è stato solo dopo cinquanta anni. E poi - conclude Favino - forse non è neppure un caso che un film del genere lo abbia». D. D.

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