Quel genio eterno che nulla ha da invidiare a Raffaello e Caravaggio
Ma significa anche la derisione di fronte a tante opere, quelle dai nasi storti e dalle orrende deformazioni della figura. È un nome che è diventato proverbiale e popolare. Non lo si ricorda mai con un nome e un cognome ma solo come Picasso. Si chiamava Pablo Ruiz e Picasso era il cognome della madre. Picasso è quasi uscito fuori dalla storia per diventare un emblema. Chi conosce l'arte sa che ha avuto il periodo blu e rosa, sa che ha inventato il Cubismo, sa che ha dipinto Guernica. Ha avuto una giovinezza difficile e un trionfo duraturo. Era un libertino infaticabile ed era basso. Aveva un carattere tremendo tipico del grande artista che non guarda in faccia a nessuno perché pensa solo a creare. Le sue opere valgono cifre da capogiro come per gli impressionisti e gli artisti contemporanei che non si capisce bene come mai valgano così tanto quando talvolta fanno ben poco. Ma a Picasso non si può muovere la celebre obbiezione del "so farlo anche io" perché lui le cose le faceva apposta e non ha dipinto arti deformi e mostriciattoli repellenti perché non sapeva disegnare e non era capace. Era capace e basta vedere le sue opere giovanili per trovarsi di fronte a un disegnatore degno di Raffaello Sanzio e a un pittore degno del Caravaggio. La sua conoscenza delle regole dell'arte è grande e se ha preso in giro l'umanità lo ha fatto consapevolmente. E la domanda risorge sempre: lo ha fatto veramente? Ogni tanto nei racconti su Picasso emerge un sospetto di ipocrisia e di astuzia presentata come ispirazione incontrollabile e prodigiosa. La storia di Guernica come è andata sul serio? È vero che ci fu molto calcolo da parte del maestro nel presentare un'opera sconvolgente che scuotesse le coscienze quando la sua era molto meno scossa di quanto avesse fatto credere? È vero che i disegni preparatori frementi di passione e sdegno civile li ha fatti dopo e non prima , visto il successo planetario del capolavoro da sfruttare al meglio commercialmente? La verità è che non c'è bisogno di rispondere a domande simili. Tutti i pittori del Settecento hanno fatto finti bozzetti preparatori delle loro opere a fini commerciali. Gli altri lo sapevano e stavano al gioco. Raffaelo e Michelangelo hanno creato epopee determinanti per la storia civile e religiosa dell' Umanità senza aderire necessariamente allo stato d' animo di chi le aveva commissionate. Quindi se Picasso avesse agito nel senso di privilegiare sempre e soprattutto la promozione della sua opera non avrebbe fatto niente di diverso da tanti maestri del passato che veneriamo e giustamente. Ma Picasso ha osato fare qualcosa che caratterizza il grande artista in qualunque epoca. Ha operato instancabilmente sul proprio linguaggio modificandolo e piegandolo sempre verso direzioni inaspettate. Solo che, a differenza di altri grandi analoghi a lui per potenza creativa e frenesia esecutiva, non dovette essere troppo caro agli dei perchè non morì giovane. Anzi visse tantissimo e fu dunque condannato a rimuginare per tanto tempo su di sé cosa che non giova a nessuno. Quando, trentaseienne, venne a Roma nel 1917 doveva incontrare Diaghilev per un lavoro con i Balletti Russi. Prese stanza all' Hotel de Russie ed ebbe poi uno studio bellissimo a Via Margutta . Stava con Cocteau e a Roma, tra l' altro trovò moglie, la ballerina Olga Kokhlova che sposò di fatto quando rientrò a Parigi. Lavorava al Sipario di Parade, lo spettacolo "cubista" con la musica di Satie, che lo riportava al mondo dei saltimbanchi, acrobati e danzatori da lui celebrati pochi anni prima in figure sublimi e dolenti. Ma l'irrisione e il gusto del divertimento restavano forti. Aveva sperimentato forme analoghe a quelle del futurista Severini, usava il collage e gli piaceva costruire le forme pittoriche come ritagli di carta colorata. Le donne erano questi ritagli e la sua passione per la figura popolare lo portò a guardare le ragazze bellissime che giravano per via Margutta e piazza del Popolo vendendo fiori, proponendosi come modelle e introducendolo nei bordelli della Città Eterna di cui tenne un accurato registro. Il quadro de L' Italiana che è oggi alla collezione Bührle di Zurigo è scomposta e ricomposta col suo costume tradizionale che diventa una specie di sigla come in altri quadri meravigliosi di quegli anni. Ma tutte le persone dipinte da Picasso si affacciano davanti a noi, dal primo all'ultimo giorno del suo lavoro, per lascirci sbalorditi e un po' di stucco per l' incredulità che il maestro ci mette dentro. E va da un estremo all' altro: ingigantisce le forme, le riduce a sigla, le riproduce con una evidenza magnetica, le deforma oltre il grottesco, le insulta, le venera, le abbandona, se ne riappropria. Aveva una forza degna del torero che pensa di amare così tanto la sua vittima da doverne infliggere la morte e si meraviglia se qualcuno se ne rammarica e si indigna fino alla più totale ripulsa.