In questi giorni più di un uomo politico ha parlato di "male ...
I dittatori, per governare hanno sempre bisogno del consenso, il terrore non gli basterebbe. Se per assurdo il male assoluto si realizzasse nella storia, tutti lo riconoscerebbero per tale. Invece il male si presenta sempre in forme ambigue che favoriscono il consenso. Lo constatiamo anche nelle nostre modeste realtà: non c'è nulla di positivo che non possieda qualche aspetto negativo e nulla di negativo che non possieda qualcosa di positivo. Il regime fascista, che preferisco definire "mussoliniano" possedeva anch'esso molte ambiguità, come tutti i fenomeni storici. Non era "monolitico", ma diviso al suo interno, come accade nelle migliori famiglie. Nulla, nella storia umana, è monolitico. Pensiamo ai comunisti, che si massacrarono a vicenda: quasi tutti i membri di quel comitato centrale bolscevico che nel 1917 conquistò il potere, furono assassinati da Stalin. E questo periodo di terrore ebbe per l'appunto inizio nel 1934 con l'assassinio di Kìrov un alto dirigente assai popolare che poteva mettere in ombra Stalin. Kìrov fu ucciso da un tal Nikolàiev, membro del partito e probabile agente dei servizi segreti. Il regime mussoliniano fu a sua volta diviso al suo interno, come ben si vide durante la seduta del Gran Consiglio che il 24 luglio 1943 portò alla liquidazione di Mussolini. Esponenti del regime come Italo Balbo, Dino Grandi e Galeazzo Ciano (genero del duce) non aspettarono di certo quella crisi finale per esprimere le loro critiche. Italo Balbo morì col suo aereo poiché fu abbattuto "per errore" il 28 giugno 1940 dalla contraerea italiana, mentre stava atterrando in Libia di cui era governatore. Anche Balbo avrebbe potuto mettere in ombra Mussolini e la sua morte è sempre apparsa molto sospetta. Il 29 giugno nel suo diario Ciano scrisse parole di grande rimpianto per Balbo: "Non aveva voluto la guerra e l'aveva osteggiata fino all'ultimo". Tutto il diario di Galeazzo Ciano, processato e fucilato a Verona nel 1944 per imposizione di Hitler, costituisce a sua volta una preziosa testimonianza della varietà di posizioni avutasi nei vertici del regime durante il ventennio. I lettori più giovani del Tempo, forse ignorano che la fortuna del quotidiano che hanno in mano iniziò nell'immediato dopoguerra poiché Il Tempo pubblicò a puntate il diario di Ciano, mentre Il Messaggero, allora diretto da Arrigo Jacchia, lo rifiutò, commettendo uno sbaglio. Si trattava infatti di una testimonianza molto apprezzata dai lettori di allora e molto utile agli storici di oggi e di domani. Se il regime mussoliniano fosse stato "un male assoluto", ben difficilmente un aristocratico senese come Ranuccio Bianchi Bandinelli, grande archeologo vissuto tra il 1900 e il 1975, e che poi diventò comunista, avrebbe potuto scrivere alle pagine 69-70 (datate ottobre 1937) del suo Diario di un borghese, (Mondatori ed. 1948) che: "Anche sotto il fascismo, in fondo, gli italiani sono il popolo più libero di tutti, il più spregiudicato. E il formale ossequio alle gerarchie (…)non costa loro fatica e non intacca la loro personale indipendenza. (…)Perciò non vi è il pericolo che la gente ci creda e si esalti, come per il nazismo. Tutti fanno i fascisti, nessuno, quasi, lo è. (…)Il pericolo del fascismo non è la sua ideologia, ma la sua immoralità." In conclusione vorrei che di storia si occupassero gli storici, non i politici. E che gli storici a loro volta non avessero tentazioni politiche, disponendosi a tacere, manipolare e confondere, come molti di loro hanno fatto. Dicano la verità e forse arriveremo in futuro a una storia condivisa.