Non è la prima volta che Giorgio Napolitano sottolinea ...
Non c'è terreno comune migliore di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo costituzionale. È, questa, la nuova moderna forma di patriottismo nella quale far vivere il patto che ci lega: il nostro patto di unità nazionale nella libertà e nella democrazia". E Napolitano non è l'unico inquilino del Colle che sia ricorso a simile espressione. Perché il suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, fece altrettanto. Non c'è, dunque, nulla di nuovo sotto il sole. Difatti Napolitano, al di là delle più o meno cervellotiche interpretazioni di inguaribili amanti dei retroscena, non ha fatto altro che ribadire ora quanto già dichiarato in precedenza. Così tiene a sottolineare ancora una volta "l'importanza della piena adesione ai princìpi e ai valori della Carta per un condiviso patriottismo costituzionale". E riconosce che nel Paese c'è "una questione aperta", concernente "la piena identificazione, che dovrebbe essere di tutte le componenti della società nazionale, nei princìpi e nei valori della Costituzione". Con queste ultime parole Napolitano coglie nel segno. Aveva ragione Leo Longanesi quando, con una delle sue celebri battute, osservava che non c'è nulla di più inedito della carta stampata. E a maggior ragione ciò vale per la nostra Magna Carta repubblicana. Quanti cittadini l'hanno veramente letta? Quanti ne hanno fatto tesoro? Per quanto inquietante sia la risposta, constatiamo che sono ben pochi. Anche e forse soprattutto tra i giovani. Non per niente Mariastella Gelmini, che si sta rivelando un ottimo ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, ha reintrodotto lo studio dell'educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado. Una disciplina che, sebbene prevista sulla carta, da gran tempo era caduta in desuetudine o tutt'al più impartita nei ritagli di tempo. Una Cenerentola ignorata un po' da tutti. È tanto più importante conoscere la nostra Costituzione in quanto essa ha subìto una felice metamorfosi. C'è un prima e un dopo. E il discrimine è quello delle elezioni del 18 aprile 1948, che segnarono la sconfitta di quel blocco socialcomunista critico della democrazia formale e fautore di quella democrazia sostanziale che stava facendo versare tante lacrime e sangue nell'Unione sovietica e nei Paesi satelliti, e assegnarono la palma della vittoria alla Dc e ai suoi alleati di democrazia laica. Ed ecco la metamorfosi. La Costituzione antifascista nata dalla Resistenza di anno in anno assorbe la linfa vitale della democrazia liberale e si pone in contrasto irriducibile con ogni forma di autoritarismo. Con il risultato che la cosiddetta democrazia dei soci fondatori, denominata da Ciriaco De Mita con l'espressione "arco costituzionale", si rivelerà una patacca. Tutto ciò premesso, quel "patriottismo costituzionale" al quale sovente si richiama Napolitano non ci persuade fino in fondo. Per dirla tutta, ci pare alquanto riduttivo. E per le eccellenti ragioni squadernate da Marcello Pera in un memorabile articolo apparso su "La Stampa" del 24 gennaio scorso. Per cominciare, l'ex presidente del Senato, un filosofo coi fiocchi, ricorda che a sostenere a spada tratta, se non a inventare di sana pianta, il "patriottismo costituzionale" fu Jurgen Habermas. Il filosofo tedesco lo raccomandò per il proprio Paese con l'argomento che dopo Auschwitz esso era l'unico nazionalismo concesso ai tedeschi. Ma questa dottrina, abbracciata dalla cultura di sinistra dopo la fine del cosmopolitismo comunista, è - sostiene Pera - assai dubbia. Di qui gli interrogativi: "Ci sentiamo italiani perché ci riconosciamo nella Costituzione italiana, oppure condividiamo la Costituzione italiana perché siamo italiani? Se il secondo corno del dilemma è corretto, dobbiamo concludere che il patriottismo costituzionale, per quanto importante, si iscrive in quel perimetro del patriottismo nazionale che affonda le sue radici nel passato. Per dirla con Pera, il patriottismo di un popolo legato da vincoli etnici, di storia, lingua, religione". Ma se è così, perché porre di continuo l'accento sul "meno" invece che sul "più"? paoloarmaroli@tin.it