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Il vecchio sogno dell'architettura si perde davanti alla rivoluzione energetica di Rifkin

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800giornalisti. Mostra controcorrente e dal titolo audace, «Out there: Architecture Beyond Building» (Architettura al di là degli edifici), quella voluta dal curatore, l'americano Aaron Betsky, direttore del museo di Cincinnati, scelto direttamente da Paolo Baratta, presidente della Biennale. Stavolta, niente esercizi di stile, ma «la progettazione dell'utopia». Quasi a significare che oggi l'architettura, se non risolve i problemi che continua a porsi, essa stessa è oggi diventata un problema. Di Betsky è stata tuttavia molto apprezzata l'idea di affidare il finora trascurato Padiglione Italia a un architetto decisamente «concreto» come Francesco Garofalo, docente a Pescara, che ha umilmente intitolato la sua mostra «l'Italia cerca casa», visto il crescente peso di mutui e affitti. Garofalo spera di aver dato un piccolo contributo proponendo alcuni modelli di edilizia popolare. Nell'altra sede dell'Arsenale esporranno i loro progetti Massimiliano Fuksas, Frank O. Gehry e Zaha Hadid, tre fra i più noti architetti del mondo. Mentre è stata molto seguita l'attesissima conferenza di Jeremy Rifkin, economista americano noto per aver denunciato le devastazioni che produce il progresso sull'ambiente, riprendendo così l'appello lanciato recentemente a Torino dal premio Nobel Muhammad Yunus per la salvezza del pianeta. L'incontro con Rifkin, intitolato «New Urban Ecologies», ha focalizzato l'impatto del progresso sulla società e sull'ambiente. Rifkin ha elencato quelle che per lui sono le quattro crisi strutturali della contemporaneità: la globalizzazione, l'instabilità politica, l'aumento della popolazione e il cambiamento climatico. L'economista ha sottolineato i più clamorosi esempi di tale cambiamento, quali l'aumento della temperatura e l'erosione dei ghiacciai, la cui portata è ancora largamente sottostimata. La causa di questi mutamenti, secondo Rifkin, va cercata principalmente in tre fattori: il proliferare degli edifici, del sistema produttivo globale e dei trasporti. Ma quale può essere la soluzione? «Dobbiamo organizzare una nuova rivoluzione energetica - ha sottolineato Rifkin - ovvero una nuova distribuzione dell'energia che corrisponde anche a una redistribuzione della comunicazione. Dobbiamo sfruttare i nuovi media, come Internet, in modo tale che ognuno possa avere accesso democratico al potere dell'informazione. Dobbiamo inoltre muovere queste tecnologie dall'Europa e dall'Occidente verso i Paesi in via di sviluppo». Al centro della riflessione di Rikfin, c'è anche la questione degli edifici: «Se gli edifici possono rappresentare da un lato la causa dei problemi, da un altro lato essi possono anche fornire una soluzione: ad esempio, riconfigurando gli edifici già esistenti, o costruendo di nuovi, in grado comunque di creare energia in modo autonomo, realizzando così dei veri e propri impianti energetici. Sarebbe questa, allora, la terza rivoluzione dell'industria». Alla presenza del ministro Bondi, sono stati consegnati i Leoni d'oro alla carriera all'architetto Frank O. Gehry, noto anche per il suo progetto del museo Guggenheim nella città basca di Bilbao, e allo storico americano dell'architettura James S. Ackerman, celebre per i suoi studi su Palladio e Michelangelo. Il Leone d'argento per promettenti giovani architetti è stato assegnato al gruppo cileno Elemental. Una delle mostre più interessanti all'Arsenale è quella dedicata a Roma, al suo passato, ai suoi mali attuali e al suo, si spera, futuro. Il Leone d'Oro per il miglior progetto di installazione della Biennale di Architettura di Venezia è stato infine attribuito a Gregg Lynn Form (Usa) e il Leone d'Oro per la migliore Partecipazione nazionale è andato alla Polonia (Padiglione ai Giardini).

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