Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

C'è sempre un limite difficile da individuare, ma che è ...

default_image

  • a
  • a
  • a

Quella vicenda ha commosso l'Italia ha richiamato tutti alla responsabilità, alla necessità di adottare misure più severe per garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma, diciamolo con franchezza, di quella vicenda si è parlato tanto, ed è giusto, per farne un simbolo. Purtroppo tutto questo non è servito ad evitare altri incidenti mortali, altre stragi, altro dolore. Dolore che accompagnerà per sempre chi ha perso un figlio, un marito, un padre. Un dolore che va rispettato, tutelato. Non possiamo portare in video il grido disperato di un ragazzo che non vuole morire. Non possiamo perché quel grido può anche emozionare, ma può anche essere una sorta di richiamo per un prodotto commerciale. Ma, soprattutto, la morte non è uno spettacolo, non lo può essere. Certo l'informazione è crudele, anche se necessaria. Ma a che serve a distanza di mesi far rivere le fasi più drammatiche al pubblico? Perché far ripercorrere ancora quel dramma alle famiglie che non provano emozione, ma un angoscioso e insopportabile sgomento? Così si comprende la reazione della madre di Giuseppe De Masi, il ragazzo morto per le ustioni riportate nell'esplosione alla Thyssen. Si comprende la sua rabbia perché le parole disperate del figlio possano diventare uno spettacolo. Essere raccolte anche da orecchie non così sensibili e preparate da rispettare come si dovrebbe quel dramma. Quel momento così tragico non può essere profanato. Visto come una finzione cinematografico. Solo il timore che questo possa accadere è intollerabile per chi ha sofferto e soffrirà per tutta la vita. Inoltre la morte è qualcosa di tremendamente privato che non può diventare pubblico, qualunque siano le intenzioni, anche le migliori. Non è una fiction, è la realtà. Troppo spesso siamo abituati alla tv o cinema verità dove il disastro diventa spettacolo. Non era questa l'intenzione di Calopresti, almeno lo speriamo, ma il rischio c'è. L'urlo di quel ragazzo che vuole attaccarsi alla vita, appartiene a lui, al suo ricordo che giustamente e gelosamente vuole conservare la mamma. E non altri. Non il pubblico di una sala cinematografica. Continuiamo a parlare di lavoro e di salvaguardia della vita, ma evitiamo di farne uno spettacolo, drammatico ed emozionante, ma pur sempre uno spettacolo.

Dai blog